Martedì - VII settimana del Tempo Ordinario

Letture: Sir 2,1-11 / Sal 36 / Mc 9,30-37


TENTAZIONE



Con ottimo tempismo le Scritture ci introducono con un giorno di anticipo nell'atmosfera tipica del tempo di quaresima, parlandoci della tentazione. «Figlio» scrive ben Sira «se ti presenti per servire il Signore, preparati alla tentazione» (Sir 2,1). La tentazione è la prova a cui vengono sottoposte le nostre migliori intenzioni, il processo attraverso cui si verifica e si manifesta l'autenticità del nostro desiderio profondo. Infatti «con il fuoco si prova l'oro» e «gli uomini» si provano «nel crogiuolo del dolore» (2,5). Il Signore Gesù, condividendo realmente e fino in fondo la nostra condizione umana, non è stato estraneo a questa doloroso collaudo, efficacemente descritto come il «tempo della seduzione» (2,2). Il Vangelo di Marco però non ci racconta – come gli altri sinottici – il contenuto delle tentazioni, ma le svela gradualmente in modo narrativo ponendole sulle labbra e nel cuore dei discepoli. Questo ci aiuta a comprendere meglio come la tentazione non sia l'esperienza di chi è estraneo a Dio, ma proprio l'abbaglio che entra nel cuore di chi sta cercando di relazionarsi con lui. 


Nel Vangelo di oggi vediamo come la tentazione possa abitare pienamente dentro l'animo del discepolo. Mentre il Signore annuncia il «crogiuolo del dolore» (2,5) che si prepara a vivere nel suo mistero pasquale, i discepoli – che camminano dietro (?) a lui – sono alle prese con tutt'altri pensieri, discutendo tra loro su «chi fosse il più grande» (Mc 9,34). La radice di ogni tentazione deriva sempre dall'illusione di poter ignorare o eludere il nostro limite, che si esprime poi nel sogno di pensarci più grandi di quello che siamo o nell'incubo di crederci inferiori al nostro reale valore. Da questa cattiva percezione di noi stessi nascono i peccati e ogni male. Invidia, spirito di contesa, rivalità, egoismo e protagonismo: sono i motori di quasi tutte i cattivi rapporti che viviamo con gli altri. Quando tentiamo di alzarci sulle punte dei piedi significa che ci sentiamo insignificanti e senza valore, e allora cerchiamo costruire il nostro 'io' a partire dal confronto con gli altri. Che fa allora il Signore davanti a questo nostro atteggiamento, un po' egoista e un po' infantile? Non ci umilia, perché sa che ciascuno vuole e deve realizzarsi, ma compie un gesto che sappia indicarci una diversa scala di valori: «E, preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro: 'Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me'» (9,36-37). Al posto della brama di primeggiare e di avere, il Mastro ci propone il desiderio di servire e di accogliere il piccolo e ogni piccolezza. In questo atteggiamento sta tutta la grandezza di Dio, che è amore. L'amore infatti non afferma mai se stesso a spese dell'altro, ma piuttosto lo promuove e sue spese. Essere piccolo e povero è la caratteristica di Dio che san Francesco aveva capito così bene, al punto da voler chiamare sé e i suoi discepoli frati minori. 


La quaresima che sta per cominciare può essere un tempo per mettere a fuoco i modi con cui la tentazione di considerarci «maggiori» riesce ad esprimersi e a sedurci. Ecco dunque un possibile significato per questo tempo di grazia ormai alle porte: un'occasione per ritrovare la verità di noi stessi e per rimanere dentro la nostra storia con fiducia. Un tempo per fare pace con il nostro essere figli, bisognosi e deboli, perciò disponibili a vivere con sapienza ogni relazione con l'altro. 


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