Giovedì - IV settimana del Tempo Ordinario

Letture: Eb 12,18-19.21-24 / Sal 47 / Mc 6,7-13


ACCOSTARSI



Non sempre avvicinarsi a qualcuno significa davvero incontrarlo. Per chi – come me – è cresciuto in una grande città, questa lieve impermeabilità all'altro è, peraltro, un'attitudine necessaria per la sopravvivenza quotidiana. Oggi però le Scritture sembrano essere concordi nel giudicare un certo modo sbagliato di approssimarci all'altro senza saper accogliere la sua diversa realtà. Oggi la Parola di Dio ci aiuta a verificare il modo con cui ci accostiamo a Dio e, di riflesso, anche agli altri.


Apre l'indagine la lettera agli Ebrei, col suo ritmo solenne e pomposo: «Voi non vi siete accostati a un luogo tangibile e a un fuoco ardente, né a oscurità, tenebra e tempesta...» (Eb 12,18-19). Con acuta finezza psicologica, l'autore della lettera sacra sembra aver capito che, per esortare e correggere i credenti in modo intelligente, non serve a nulla cercare di suscitare paura e ansia, fino a far esclamare all'altro: «Ho paura e tremo» (12,21). Dio non fa così! E molto più utile, cercare di demolire le false immagini che guidano le nostre azioni. Ecco allora l'invito a rigettare qualsiasi idea «terrificante» (12,21) di Dio possa ancora dimorare dentro di noi: «Voi vi siete invece accostati al monti di Sion e alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a miriadi di angeli, all'adunanza festosa e all'assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli» (12,22-23). Senza girare troppo attorno al problema, chiediamoci: a chi ci sembra di accostarci quando, durante il giorno oppure durante la settimana (!), ci fermiamo per incontrare il Dio vivente? A cosa ci sentiamo vicini, quando preghiamo? A una festosa comunione? Oppure, capita anche a noi di non riuscire a vedere alcuna gioia davanti agli occhi del nostro spirito, ma solo il desolato vuoto che ci portiamo dentro e non sappiamo più né riconoscere, né condividere? Nemmeno con Dio! 


L'autore della lettera agli Ebrei non è un estatico ottimista. È in grado di offrire la visione «festosa» di una «assemblea» di figli gioiosi «iscritti nei cieli» per un semplice motivo: i suoi occhi non smettono di contemplare il mistero pasquale di Cristo, che getta luce sulla tela della storia piena di ombre e di incomprensibili frammenti. C'è un «sangue» prezioso al centro della storia, che dice quanto Dio sia disposto ad accoglierci e a perdonarci. Questo sangue ha una voce che è più «eloquente» (12,24) di qualsiasi altra voce possa raggiungere e turbare il nostro cuore. È vero, il sangue «di Abele» (12,24), cioè l'ordinaria fatica di vivere, fatta di violenza, solitudine, menefreghismo, rimbomba ogni giorno lungo le strade del nostro paese, dentro le mura delle nostra case, nei reconditi penetrali dei nostri rapporti di amicizia e di amore. Ma il sangue di Cristo ha una voce più forte delle nostre disperazioni, una voce capace di relativizzare il sapore di qualsiasi dolore stia attraversando, e magari angosciando, la nostra sensibilità. Ma noi abbiamo ancora dei momenti per 'vedere' questo sangue profumato d'amore dietro al velo purpureo dei nostri giorni? Ci sono dei minuti nel nostro tram tram quotidiano, nei quali riusciamo ad aprire gli occhi dello spirito al mistero d'amore che Cristo ha per noi e per ogni uomo? 


C'è una seconda verifica che possiamo fare. Ce ne parla Gesù nel Vangelo, che Marco oggi racconta nell'iniziativa di inviare i Dodici «a due a due» (Mc 6,7) per portare la Buona Notizia che «il regno dei cieli è vicino» (canto al Vangelo). Il Maestro manda i suoi amici ad annunciare il Regno ordinandogli il modo preciso con cui farlo: in povertà e insieme. Gesù chiede ai suoi di manifestare la «festosa» vicinanza del regno con la loro capacità di camminare cordialmente come fratelli. In questo modo il Signore inaugura la missione evangelica, chiedendo ai suoi amici di assomigliare a quel Dio che ha deciso di avvicinarsi all'uomo per offrirgli il suo sorriso e la sua verità. A due a due, senza troppi addobbi, i discepoli hanno cominciato ad assumere lo stesso «potere» di Dio, che è la forza di mettere a tacere la voce degli «spiriti immondi» (Mc 6,7) capaci di chiudere l'uomo nel recinto della solitudine e dell'egoismo. Accostiamoci anche noi dunque. A Dio, certo. Agli altri, naturalmente.


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