Martedì - II settimana del Tempo Ordinario

Letture: Eb 6,10-20 / Sal 110 / Mc 2,23-28


PER L'UOMO



Oggi la parola di Dio racchiusa nelle Scritture risponde ad un sospetto che – spesso inconfessato – si radica silenziosamente nelle pieghe del nostro cuore: «Dio non è ingiusto» (Eb 6,10). L'autore della lettera agli Ebrei si sta rivolgendo a persone che stanno sperimentando la fatica di portare avanti il «lavoro» per il regno e la «carità» (6,10) verso i fratelli. Esiste infatti una sfiducia nei modi con cui Dio amministra la sua giustizia che si introduce nella nicchia dei nostri pensieri proprio mentre siamo immersi nei molti «servizi» (6,10) di tutti i giorni. Non ce ne accorgiamo subito, ma solo quando è ormai cresciuta la zizzania della desolazione, di fronte alla quale cominciamo a sentirci tristi osservando quanta poca corrispondenza ci sia tra quello che stiamo dando e quello che riceviamo dagli altri, tra i sogni e la realtà. Dentro questo disavanzo contabile, si fa strada l'ipotesi che Dio sia un po' ingiusto. E se non abbiamo il coraggio di dirlo ad alta voce, lo dimostriamo almeno nei fatti, cominciando a farci giustizia da soli, oppure – più meschinamente – (ri)cominciando a giudicare gli altri.


In realtà esiste un antidoto a quest'ansia di vivere che rischia di oscurare la gioia della «promessa» (6,17) di Dio: è il «sabato» (Mc 2,24) – lo shabbat – il momento del riposo comandato all'uomo che, uscendo dalla schiavitù, desidera entrare nella terra della vita: «Ricordati del giorno di sabato per santificarlo: sei giorni faticherai e farai ogni lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: tu non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essa, ma si è riposato il giorno settimo. Perciò il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro» (Es 20,8-11). Israele ha sempre custodito con fedeltà e amore l'osservanza di questo comandamento, considerandolo uno dei punti essenziali dell'intera legge di Dio. Il Vangelo ci mostra come sia possibile però fraintendere il senso del precetto, pur volendone osservarne la forma. I farisei si scandalizzano vedendo i discepoli che, raccogliendo spighe nei campi, «fanno di sabato quel che non è permesso» (Mc 2,24). Anche dietro questa critica si nasconde una brutta visione della giustizia divina, che non mette al centro l'uomo e il suo «bisogno» (2,25). Il Maestro Gesù suggerisce una migliore lettura delle Scritture, mostrando come gli amici di Dio (Davide) abbiano saputo vivere nella libertà e nella benedizione, arrivando a capire che «il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato» (2,27).


C'è una splendida rivelazione in queste parole. Non è vero, come ingenuamente pensiamo e crediamo, che l'uomo sia fatto per la felicità. Questa è un'idea superficiale e romantica attorno alla quale si struttura molta della cultura e dell'economia che ingoiamo quotidianamente! È vero esattamente il contrario: la felicità è – da sempre – fatta da Dio per l'uomo. Il viaggio della vita non è allora il raggiungimento faticoso di una pace impossibile, ma il cammino verso un dono. Non siamo conquistatori, ma «eredi» di una «promessa» (Eb 6,17). Non bisogna cogliere in queste parole un invito a diventare «pigri» (6,12) e oziosi ma ad un modo di essere operosi contrassegnato dalla fiducia. Il «giuramento» (6,17) che Dio ha fatto, offrendoci la sua vita e la sua morte, è «un grande incoraggiamento» (6,18) quasi «come un'àncora della nostra vita sicura e salda» (6,19). Come possiamo credere che Dio sia ingiusto mentre «ci è posta davanti» questa bella «speranza» (6,18)?


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