Feria prima dell'Epifania – 3 gennaio

Letture: Fil 2,6-11 / Sal 112 / Mt 1,18-25


IL NOME SANTISSIMO


La festa del nome di Gesù, che l'ordine serafico celebra in questo giorno tra il Natale e l'Epifania, ci offre l'occasione di riflettere su uno dei doni che il mistero dell'incarnazione ha reso accessibile a tutta l'umanità: la possibilità di pronunciare il nome di Dio, il cui arco d'ingresso è il nome stesso di Gesù l'unico «nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati» (At 4,12). È una devozione semplice, quella del Nome santo di Gesù, che san Bernardino e i frati minori hanno diffuso con passione tra il popolo, affinché la dolce memoria del Salvatore potesse dimorare facilmente sulle labbra e nei cuori dei credenti. Ciò nonostante è una devozione con un ricco e profondo senso teologico, che le letture scelte per la celebrazione eucaristica riescono a svelare.


Nella prima lettura abbiamo ascoltato il celebre inno che descrive lo svuotamento attraverso cui Dio si è fatto come uno di noi: «Cristo Gesù spogliò se stesso» e «per questo Dio lo ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra» (cf Fil 2,6-10). Queste parole, centrali per la fede cristiana, possono essere parafrasate così nel contesto dell'odierna memoria liturgica: Dio, che è all'origine di ogni nome, ha rinunciato ad imporre nella storia il suo nome, ma si è coinvolto nelle vicende umane, fino ad ottenere un nome solo attraverso una vita di obbedienza e di amore. 


È davvero una rivelazione che non finisce di (ri!)suscitare in noi stupore, gratitudine e meraviglia: Dio si è gettato nella creazione, rinunciando al suo ruolo di protagonista assoluto, per essere semplicemente un attore tra gli attori. Che bello! Ma questa immersione nel tumulto della storia non lo ha lasciato privo della sua impronunciabile identità. Attraverso il suo amore egli si è manifestato radicalmente diverso da ogni altra cosa, capace di donare la sua vita gratuitamente «fino alla morte» (Fil 2,8). Perché lo ha fatto? Risposta (apparentemente semplice): per noi, affinché potessimo entrare in una relazione con la sua vita, Dio ha rinunciato ad imporci il suo nome e ha preferito rivelarcelo, attraverso una storia di salvezza, fino alla pienezza di tempi, quando il suo volto e il suo nome si sono manifestati definitivamente e tutta la terra ha potuto vedere la salvezza di Dio. Infatti l'uomo da sempre ha il potere e il bisogno di assegnare un nome a tutte le cose. Scrive l'autore sacro che, fin dal principio, «in qualunque modo l'uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome» (Gen 2,19). Dio non si è sottratto a questa subordinazione nei nostri confronti, si è fatto 'nome' che le nostre labbra possono pronunciare, accettando di apparire in qualche modo inesistente, fino a quando noi non decidiamo di confessare il suo nome santissimo. In un salmo si dice: O Dio, «tu mi hai dato il tuo scudo di salvezza, la tua destra mi ha sostenuto, la tua piccolezza mi ha fatto diventare grande» (Sal 18,36).


Il vangelo inizia proprio con l'annuncio di questo nome che l'uomo è finalmente in grado di pronunciare. «E tu lo chiamerai Gesù» dice l'angelo a Giuseppe, che significa: tu sarai in grado di riconoscere nella carne di quest'uomo la presenza stessa del Dio che salva l'umanità, diventando l'Emmanuele (cf Mt 1,21.23). Come Giuseppe, come san Bernardino, continua per noi quell'oggi, nel quale possiamo confessare senza esitazioni il nome pieno e vero di Dio: Gesù. Ogni volta che questa memoria si ravviva nel nostro cuore e nella nostra intelligenza, la rivelazione di Dio si perfeziona nella nostra vicenda personale. E noi veniamo salvati sempre. Perché anche quando cadiamo a terra e, stanchi, fatichiamo ad avanzare, ci rimane la libertà di un'umile confessione, un soffocato grido che riposa nell'anima: 'Gesù, Dio salva'. 


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