Venerdì - II settimana di Avvento

Letture: Is 48,17-19 / Sal 1 / Mt 11,16-19


MAI CONTENTI



Forse quella «generazione» (Mt 11,16) che ascoltò il rimprovero del Maestro è ancora rappresentativa della nostra difficoltà ad accogliere le «opere» della «sapienza» (11,19) con cui Dio guida la storia umana. Forse non siamo mai contenti, e quindi abitualmente confusi e agitati, perché ci opponiamo alla necessità di imparare la sapienza della vita, praticando le opere che essa ci chiede di riconoscere e compiere nello spazio della nostra libertà. 


La sapienza consiste nella libertà di riconoscere ciò che serve e nella capacità di compierlo. Non è dunque un'ideologia rigida, una filosofia consolidata, una linea politica da assumere. Tutte queste cose sono strumenti utili che ci piace integrare nella nostra arte di vivere. Amiamo essere forti e risoluti, o almeno disporre di quella sicurezza che consiste nel sapere cosa fare, come porci preliminarmente di fronte ai rischi e agli imprevisti. E invece non possiamo che camminare umilmente in mezzo alla storia e accanto a tutti. Come figli di Dio, come compagni e fratelli di ogni altro essere vivente. Non esiste sapienza superiore a questa. Solo a partire da questa sapienza povera, possiamo imparare a comprendere quando è il momento di suonare «il flauto» e ballare insieme a chi è nella gioia, e quando invece è il tempo di cantare un «lamento» (11,17) e piangere insieme a chi è nel dolore.


Dio non è uno che da ordini, ma un Padre che ammaestra con rispetto e amore: «Io sono il Signore tuo Dio che ti insegno per il tuo bene, che ti guido per la strada su cui devi andare» (Is 48,17). Non teme di offrirci i suoi «comandi» (48,18) nella forma adulta di una parola da ascoltare, perché confida nella nostra capacità di accoglierla e diventare gonfi di vita, «come un fiume», «come le onde del mare» (48,18). E spera – sì spera – che le sue promesse di vita si compiano in noi: «La tua discendenza sarebbe come la sabbia e i nati dalle tue viscere come i granelli d'arena; non sarebbe mai radiato né cancellato il tuo nome davanti a me» (48,19).


Celebrare l'Avvento significa non attendere quanto il Signore non deve e non vuole darci, dal momento che «alla sapienza è (già) stata resa giustizia dalle sue opere» (Mt 11,19), ma desiderare che la logica mite e povera dell'incarnazione abiti sempre di più gli angoli recalcitranti della nostra cocciuta umanità, così come gli spazi di disumanità ancora tanto presenti nel mondo che ogni giorno tutti continuiamo a costruire. Con i nostri silenzi e con i nostri assensi.


Abbiamo il flauto per lodare e danzare.

Il cuore di carne per donare alla terra le lacrime della compassione.

Non manchiamo di nulla.


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