III Domenica di Avvento – Anno B

Letture: Is 61,1-2.10-11 / Lc 1 / 1Ts 5,16-24 / Gv 1,6-8.19-28


RESET



Indugia ancora un attimo sul Battista la liturgia di Avvento. La sua è una figura troppo gigante, per poter essere contemplata in un giorno soltanto. In questa terza domenica di Avvento, la figura di Giovanni viene collocata in un contesto di gioia e di esultanza, che vorrebbe sollevare i nostri cuori verso la festa di Natale ormai imminente. Celebriamo la cosiddetta domenica Gaudete, nella quale siamo esortati ad accogliere sentimenti di esultanza per il mistero dell'Incarnazione che ancora una volta celebriamo nella fede.


La luce

Per accedere alla gioia che caratterizza questa domenica, siamo però obbligati a fare i conti con la bellezza ruvida e mai scontata di Giovanni, un «uomo» che è stato «mandato da Dio» (Gv 1,6) per dare «testimonianza» (1,7) alla sua venuta. Il Vangelo che oggi ascoltiamo utilizza un linguaggio forense che vuole introdurci come dentro un aula di tribunale, dove si svolge un processo. Sotto indagine è la Luce che viene nel mondo; testimone è Giovanni il Battista. È importante entrare in questa pagina di Vangelo di oggi come fossimo dei giurati in un procedimento giudiziario, che danno ascolto ad un testimone che ha cose importanti da dire, principalmente in forma negativa: «Io non sono»; né «il Cristo», né Elia, né «il Profeta» (1,20-21). Giovanni era un grandissimo personaggio; la sua vita e la sua predicazione stavano seducendo il popolo di Israele e infastidendo le autorità religiose. Era sulla cresta dell'onda, diremmo noi. Eppure, rinuncia a qualsiasi identificazione con queste immagini di sé che il mondo vede. Perché? Giovanni ha imparato a non lasciarsi mai riempire da nessun 'risultato' raggiunto, rimanendo sempre in attesa del Dio che deve venire. Vivendo nel deserto ha accettato di affrontare quel temibile campo di battaglia che è il nostro cuore, così incline a saziarsi con cibi non adeguati al suo desiderio profondo. In questo modo Giovanni ha imparato l'arte di lasciarsi guidare dallo Spirito, come spiegherà l'apostolo dopo aver scoperto la vita del Vangelo: «Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono. Astenetevi da ogni specie di male» (1Ts 5,21). Giovanni è diventato testimone della luce perché ha imparato a vivere staccato dagli idoli, diventando umile. Si è inoltrato più avanti di ogni altro uomo in quel deserto temibile, che poi è la stessa vita umana, e ha intravisto all'orizzonte con gli occhi del cuore la venuta di Dio. Ha capito e creduto che davanti alla nostra povertà, Dio non può fare altro che venirci incontro.


Le luci

Anche noi, come Giovanni, veniamo quotidianamente interrogati allo stesso modo: «Tu, chi sei?». Ce lo chiede il mondo, ce lo chiedono gli altri: i figli, il marito, la moglie, gli amici, i fratelli nella fede. E noi proviamo a rispondere, molto spesso più con quello che facciamo (o diciamo) che con quello che siamo realmente. Inizia così il nostro faticoso tentativo di offrire una buona immagine di noi stessi, che lasci contenti gli altri, che alimenti il nostro narcisismo, che ci impedisca di pensare a quello che in realtà siamo: una creatura povera e fragile, nelle acque agitate di questo mondo. Ed è un bel guaio quando le sicurezze materiali e i beni affettivi che abbiamo messo da parte diventano le luci con cui tentiamo di illuminare il senso dei nostri giorni. È davvero un problema quando la luce dei nostri occhi diventano solo i nostri figli, il nostro lavoro, la nostra casa, le cose che facciamo. Significa che abbiamo cominciato a mettere Dio alla periferia della nostra vita, che stiamo fuggendo dalla nostra realtà povera che attende di essere rivestita dal «manto della giustizia» e dalle «vesti di salvezza» (Is 61,10) che solo Dio può donarci, con il suo intimo e profondo amore per noi. È proprio un bel guaio quando le luci che si sono accese nel nostro cammino ci bastano e ci saziano. Perché in realtà, niente all'infuori del solo Dio può illuminarci adeguatamente in questo mondo, nessuna cosa può davvero saziarci. 


La gioia

Il confronto con Giovanni è scomodo ma indispensabile. Ci ricorda che per entrare nella gioia della Natale dobbiamo – solo – azzerare i conti e ripartire da zero. Dio non viene per quello che abbiamo fatto o non fatto. Dio viene perché ci ama e vuole essere la pienezza della nostra vita. Se le nostre mani e il nostro stomaco sono giù pieni, sarà solo una felicità virtuale quella che tenteremo di vivere o di mostrare davanti al mistero di un Dio che si fa piccolo nelle nostre mani. Se viviamo tutti concentrati e centrati in noi stessi, non avremo né la forza, né la libertà di ricordare ai nostri fratelli in umanità che la luce di Dio davvero viene nel mondo. Permettiamo a Giovanni di farci azzerare i contatori della nostra vita, di resettare i contatori del cuore, di riportarci dritti al 'Via', di ricollocarci sulla terra terra, di riconsegnarci a noi stessi. Il cammino di Avvento vuole condurci ad accogliere ancora la follia di un Dio che ci viene incontro pensando così tanto a noi da dimenticarsi di sé. Per amore. Per eccesso di desiderio. 

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