Mercoledì – XXXII settimana del Tempo Ordinario

Letture: Tt 3,1-7/ Sal 22 / Lc 17,11-19


DOVE SIAMO?



Le Scritture ci segnalano oggi un luogo fondamentale per la nostra esistenza: lo spazio della gratitudine, dove si esprime la nostra capacità di riconoscere l'amore di Dio quale origine di ogni cosa che ci capita e che viviamo. San Paolo esorta Tito ad entrare generosamente in questo atteggiamento di ringraziamento, dal momento che «si sono manifestati la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini» (Tt 3,4) e ciò rende possibile un certo modo di comportarsi: «non parlar male di nessuno, evitare le contese, essere mansueti, mostrando ogni dolcezza verso tutti gli uomini» (3,2). La gratitudine ci fa assumere volentieri atteggiamenti amabili verso ogni situazione o persona che incontriamo sul nostro cammino. Tuttavia assumere lineamenti cordiali non significa affatto diventare bonaccioni e vigliacchi, disertando la fatica di restare lontani dal male (e dai modi con cui si incarna) e di costruire il bene ad ogni costo. Tutt'altro: essere mossi dalla gratitudine significa mettere ogni energia a servizio del regno di Dio e della sua giustizia, senza indulgere in una maliziosa complicità con le forme che il peccato assume davanti ai nostri occhi, ma nemmeno accodandosi al coro sterile dei rassegnati o dei brontoloni. Vivere dicendo grazie significa più semplicemente e più profondamente essere «pronti per ogni opera buona» (3,1), con gli occhi attenti e aperti, il cuore disponibile e caldo. In questo modo vanno compresi gli inviti dell'apostolo a essere sottomessi «ai magistrati e alle autorità» (3,1), parole che fraintese potrebbero spingerci ad una pericolosa svalutazione delle nostre capacità.


Un lebbroso – uno solo tra dieci! – conosce questa necessaria gratitudine, secondo il racconto del Vangelo. Aveva meno motivi di tutti gli altri per fermarsi, indietreggiare e dire grazie, «lodando Dio a gran voce» (Lc 17,15). E invece lo fa. Questo gesto semplice ha la forza di una risurrezione, che salva tutta la sua vita: «Alzati e va'; la tua fede ti ha salvato!» (17,19) dice a lui il Maestro, dopo aver espresso  tutto il suo stupore: «Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono?» (17,17).


E noi, dove siamo? Cosa stiamo facendo davanti ai doni e ai passaggi continui di Dio nella nostra vita? Esiste ancora, dentro di noi, lo spazio della gratitudine? Senza questo spazio la nostra vita non è salvata; è morta. La terra del ringraziamento è l'unica dimora dove non marcisce la nostra vita con i suoi doni e i suoi dolori. Se non la abitiamo, stiamo tentando – disperatamente – di essere altrove, in un altro luogo e in un altro tempo. Non qui. Non ora. Stiamo vivendo come se tutto ci sia dovuto, anziché donato. Invece qui, ora tutto ci è regalato. Qui, ora, il mondo – con tutti i suoi misteri e i suoi casini – è salvato da un Dio che non smette mai di avere «pietà di noi» (17,13) e di donarci la «speranza della vita eterna» (Tt 3,7).


Ma noi dove siamo? Abbiamo ancora il tempo, il desiderio, il coraggio di fermarci, tornare indietro e dire grazie? Oppure nulla riesce più ad interrompere la nostra corsa, perché ogni cosa ci è ormai dovuta e quindi tolta? 


Dove siamo?


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