Martedì – XXXIII settimana del Tempo Ordinario

Letture: Ap 3,1-6.14-22 / Sal 14 / Lc 19,1-10


NÉ FREDDO NÉ CALDO



«Ricorda dunque come hai accolto la parola, osservala e ravvéditi, perché se non sarai vigilante, verrò come un ladro, senza che tu sappia in quale ora io verrò da te» (Ap 3,3). Le parole che il Signore detta all'angelo della Chiesa di Sardi – facendo riecheggiare i temi della liturgia domenicale appena celebrata – ci regalano un  certo brivido di timore. Non essere vigilanti, nel linguaggio metaforico delle Scritture sacre, è sinonimo di quell'intorpidimento che potremmo anche identificare con il male della mediocrità, quella mezza misura che la nostra vita accetta troppo facilmente di assumere, in innumerevoli e preoccupanti forme. È appunto proprio la tiepidezza a suscitare il grido allarmato del Cristo Signore alla sua Chiesa-sposa: «Poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla bocca» (3,16). Diventiamo tiepidi quando ci accontentiamo di arrivare a sera in qualche modo, di tirare a campare, come annoiati criceti nella gabbia delle nostre ingannevoli sicurezze quotidiane. La tiepidezza diventa il colore di fondo della nostra tela ogni volta che ci lasciamo vivere, trascorrendo i giorni senza profondità, senza sogno, senza preghiera. E magari diciamo, o almeno pensiamo, pure: «Sono ricco, mi sono arricchito; non ho bisogno di nulla», mentre in realtà il nostro cuore è «infelice, miserabile, un povero, cieco e nudo» (3,17). C'è allora un problema nascosto in noi, che il Signore dichiara con struggente compassione: «Ti si crede vivo e invece sei morto» (3,1). Esistere come morti viventi è un'esperienza terribile che tutti, purtroppo, conosciamo. Ne sapeva qualcosa anche Zaccheo, che tutti credevano vivo e ben pasciuto, poiché era «capo dei pubblicani e ricco» (Lc 19,2), ma in realtà era davvero un «piccolo» uomo (19,3). 



Quando sente che Dio-salva (Gesù) sta passando vicino a lui, con la libertà e l'audacia di chi non ha nulla da perdere, si arrampica «su un sicomòro» con fretta ed entusiasmo «per poterlo vedere» (19,4). Cosa sta cercando il ricco-povero Zaccheo, mentre perde la faccia davanti a tutta la gente che è abituato a sfruttare per arricchirsi? Sta ascoltando il «consiglio» divino, sta cercando «vesti bianche» per coprire la sua «vergognosa nudità» e «collirio» per ungere gli occhi e «ricuperare la vista» (Ap 3,18). La grazia di Dio ha illuminato la tenebra della sua povertà interiore, mostrandogli il volto di un Amore sempre disposto al perdono e alla riconciliazione: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (3,20). Zaccheo si rende conto di essere ormai nel baratro e compie un gesto disperato, da povero. Tutto ciò è sufficiente al Signore per potergli donare la grazia della conversione e il dinamismo della salvezza: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua» (Lc 19,5).


Possiamo scegliere a che temperatura servire e degustare la pietanza della nostra esistenza. Freddo e caldo sono le alternative suggerite dalla parola di Dio, che possono allontanarci dalla nostra nauseante mediocrità, capace di suscitare il vomito dello stesso Signore: «Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese» (Ap 3,22)! Le nostre orecchie, che oggi ascoltano il suono aspro di questi avvertimenti, sono l'ultima linea difensiva che abbiamo a disposizione. Sono tutto ciò che resta dopo i fiumi di metadone e narcotici che la nostra società ci invita ad assumere pur di non farci ascoltare il grido della nostra umanità povera. Le orecchie, cioè le profondità del nostro spirito, sono l'ultima breccia disponibile al cielo, la nostra invincibile, preziosa entrata di sicurezza.


Il Signore sta alla porta, con la fiamma viva del suo amore. E bussa.

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