Giovedì – XXXII settimana del Tempo Ordinario

Letture: Fm 7-20 / Sal 145 / Lc 17,20-25


QUANDO?



«Il regno di Dio non viene in modo da attirare l'attenzione» (Lc 17,21) assicura il Maestro Gesù ai farisei, preoccupati di scoprire «quando» (17,20) si manifesterà l'azione e la potenza di Dio in favore del suo popolo. È la domanda che riaffiora continuamente anche nel nostro cuore, soprattutto mentre le onde della storia agitano il serbatoio della nostra speranza e confondono il nostro cammino. Conoscere il «tempo» e i «giorni del Figlio dell'uomo» (17,22) è il sottobosco insistente che cresce nella foresta delle nostre paure, ma che il Signore non si preoccupa affatto di esaudire. Lo fanno al suo posto i profeti di ogni integralismo religioso o laico, quando indicano a tutti seducenti punti luminosi, capaci di attrarre e conquistare il fragile cuore dell'uomo, dicendo: «Eccolo qui, o eccolo là». Eccolo lì, ciò che mi manca per essere felice! Eccola là, quella cosa che potrebbe risolvere i problemi che ci affliggono!  In questi vani ragionamenti rischiamo facilmente di cadere, individuando fuori da noi stessi – e dai modi con cui la nostra libertà può scegliere di impegnarsi – il deus ex machina, la risoluzione dei conflitti, la fine delle preoccupazioni... il regno di Dio, se accettiamo il linguaggio religioso del Maestro Gesù. Ma il regno di Dio, cioè lo spazio in cui si possono manifestare pienamente l'amore, la vita e la verità di Dio, «non viene in modo da attirare l'attenzione», perché – dice il Signore – la sua energia e il suono dinamismo sono già «in mezzo a voi!» (17,21). C'è una pretesa immensa dietro queste parole, quella di annunciare all'uomo l'inutilità di aspettare un domani migliore, dal momento che già qui ed ora – nascosto nella nostra umanità – Dio è presente e stabilisce il suo regno in mezzo agli uomini e alle vicende del mondo. Perciò il tempo è adesso, non dopo. Oggi, non domani.


Solo che dobbiamo esplicitare questo tesoro nascosto, rivelare la luce di Dio deposta nella nostra terra. Perché il regno è 'in mezzo' anche in questo senso: nel mezzo della nostra libertà, nel cuore degli avvenimenti umani e nel tumultuoso alternarsi delle stagioni. Occorre saper riconoscere nelle circostanze quotidiane le opportunità di manifestare la logica dell'evangelo, come fa Paolo quando restituisce uno schiavo fuggitivo, di nome Onesimo, al suo amico e legittimo padrone Filemone. L'apostolo non abolisce l'istituto della schiavitù – che certamente fa a pugni con il messaggio di fraternità universale proclamato da Gesù – e forse, nemmeno potrebbe farlo. I tempi della storia non sono ancora maturi. Eppure, con parole semplici e profonde, pone le basi per un suo evangelico superamento, svuotandolo dal di dentro. Paolo non dà nessuno ordine, ma muove una supplica al caro amico, dicendogli: «Ti prego dunque per il mio figlio, che ho generato in catene, Onesimo... Te l'ho rimandato, lui, il mio cuore» (Fm 10.12). E continua: «Forse per questo è stato separato da te per un momento perché tu lo riavessi per sempre; non più però come uno schiavo, ma molto più che schiavo, come un fratello carissimo in primo luogo a me, ma quanto più a te, sia come uomo, sia come fratello nel Signore». Infine conclude, dicendo: «Se dunque tu mi consideri amico, accoglilo come me stesso» (Fm 16). Dov'è finita la logica della schiavitù? Paolo le ha tolto il veleno, senza abolire il suo istituto sociale. Ha colto nel tempo presente, l'occasione di osare la fantasia e l'audacia dell'amore insegnato da Cristo. E così facendo ha liberato la forza del regno di Dio, che è in mezzo e noi. Qui ed ora. Si manifesta quando accettiamo di pagarne le conseguenze in prima persona, come fa Paolo con estrema libertà, dicendo all'amico Filemone: «Metti tutto sul mio conto» (Fm 18).


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