XXX Domenica del Tempo Ordinario – Anno A

Letture: Es 22,20-26 / Sal 17/ Ts 1,5-10 / Mt 22,34-40

  

RIORDINARE GLI AFFETTI



Tra le numerose difficoltà del nostro tempo, non è certo marginale la 'recessione di umanità' che stiamo vivendo nel campo degli affetti, ben più endemica e preoccupante della pur seria crisi economica che investe il pianeta. Se nel passato abbiamo corso il rischio di aggiungere troppa morale all'esperienza amorosa, oggi sembriamo semplicemente troppo liberi e troppo infelici di amare. Quella che dovrebbe essere una delle esperienze umane più bella e liberante, viene in realtà vissuta in modo tanto spregiudicato quanto doloroso, al punto che si è diffusa la convinzione che non convenga affatto costruire la vita attorno ad un progetto d'amore. Meglio evitare pericolosi coinvolgimenti e accontentarsi delle occasioni di star bene per un po' con qualcuno, senza farsi troppe illusioni e, soprattutto, delusioni. Peccato (o per fortuna!) che questo mediocre standard di sopravvivenza in fondo non ci basta per poterci addormentare in pace o per guardarci allo specchio senza vedere nel nostro volto spento il fantasma di noi stessi. E pensare che Dio ce lo aveva spiegato bene l'amore; ai nostri padri aveva lasciato il foglietto delle istruzioni, sin dai tempi antichi...


Il secondo comandamento

Bisogna voler bene agli altri. Soprattutto ai più deboli. Quando Dio fece uscire il popolo dalla schiavitù cercò subito di farlo entrare nello spazio della sua sconfinata pietà: «Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, [...] Non maltratterai la vedova o l'orfano [...]. Non ti comporterai da usuraio [...]» (Es 22,20.21.24). Così il Signore insegnava ad Israele ad avere cura della «pelle» dell'altro, e a diventare cordialmente «pietoso» (Es 20,26). Così educava all'amore il Dio nei tempi antichi. Così insegnava anche Gesù, quando veniva interrogato sulla sostanza della vita e del rapporto con Dio:  «Maestro, nella Legge qual è il più grande comandamento?» (Mt 22,36). Rispose prontamente il nostro splendido Rabbì: «Amerai...» (22,37).

Il grande e primo comandamento

Prima dell'amore verso il prossimo però il Signore Gesù indica un altro imperativo che l'uomo non può disattendere: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente» (22,37). La prima persona da amare è Dio, il Dio invisibile che è all'origine di tutte le cose che esistono. È lui a cui bisogna imparare a voler bene con tutto ciò che siamo e con tutta la forza che abbiamo. Perché? Siamo stati forse creati da un Onnipotente un po' egocentrico?! Macché! Allora Dio ci ricatta chiedendoci di pagare il conto del suo amore per noi?! Nemmeno. Dio ci comanda (!, sì comanda) di amarlo, perché solo provando ad amare qualcuno grande come Dio possiamo scoprire e accettare di avere un cuore infinitamente capace (e bisognoso) di misericordia. Solo amando Dio, diventiamo capaci amare la vita e il mondo che egli ha creato. Senza questo sguardo di fiducia verso la realtà, qualsiasi altro tentativo di amore (verso un compagno, un figlio, una professione) finisce col diventare un atto di idolatria, cioè di esaltazione esagerata di qualcuno o di qualcosa che non potrà mai – mai! – riempire fino in fondo il nostro cuore. Per poter amare (qualc)uno, occorre imparare ad amare l'Uno; avere un'intuizione buona e contenta della realtà. Qualsiasi percorso di amore ha bisogno di un cuore aperto, universale, perché l'amore tende per sua natura ad essere definitivo e totale. Altrimenti non è amore. Perché infatti restiamo così male quando ci accorgiamo che qualcuno non ci vuole bene in modo incondizionato ed entriamo nella spirale angosciosa della revisione (infinita) di noi stessi? Non ci stiamo forse dimenticando di praticare l'amore verso Dio, lasciandoci riscaldare dal suo sguardo sempre accogliente, definitivo e buono, che abbiamo riconosciuto nel volto dolcissimo di «suo Figlio, che egli ha risuscitato dai morti, Gesù» (1Ts 1,10). 


Rimettere ordine

Ancora una volta il Vangelo ci annuncia che occorre rimettere in ordine le priorità con cui viviamo il nostro tempo, che siamo irrimediabili pasticcioni, più che orribili malfattori. Gettarsi nelle braccia degli altri senza prima sapere chi siamo veramente – figli di Dio amati – è un'esperienza troppo penosa; la nostra società – a telecamere spente – questo lo sa e lo riconosce con amarezza. L'amore è davvero il senso e la priorità della vita, ma per poter amare occorre quella libertà interiore che ci rende capaci di coinvolgerci pienamente e definitivamente con gli altri. Sia quelli che abbiamo scelto, sia quelli che ci sono capitati accanto. Senza appoggiarci troppo sull'affetto che l'altro ci dona, ma senza nemmeno impedire ai nostri sensi di colpa e di inferiorità di bloccare sul nascere l'offerta sincera della nostra vita. È perfettamente inutile mettere il carro davanti a buoi, cioè cercare i frutti senza percorrere la strada dell'amore che si snoda in due sentieri, quello dell'amore verso Dio e quello dell'amore verso il prossimo. Non possiamo sperare di donare e ricevere amore se continuiamo a girare come recipienti vuoti che non hanno fiducia in se stessi e alla fine nemmeno negli altri. Altrimenti restiamo imbambolati davanti agli «idoli» (1,10) anziché servire «il Dio vivo e vero» e «attendere il suo Figlio» (1Ts 1,10). Solo imparando a restare soli davanti al Solo Dio – che è amore – può nascere dentro di noi il miracolo sperimentato da generazioni e generazioni di «credenti»: la «gioia dello Spirito Santo anche in mezzo a grandi prove» (1Ts 1,6). Questo accade quando preghiamo, quando celebriamo i sacramenti, quando ascoltiamo la Parola di Dio contenuta nelle Scritture sacre. Così, solo così, si può affrontare e vincere la più temibile delle recessioni: quella del nostro cuore, creato a immagine e somiglianza di Dio, chiamato a diventare amore. Per sempre.


Commenti

Marcello ha detto…
Mi piace molto il termine "recessione di umanita`" perche` credo che esprima bene quello che accade oggi: l'uomo solitario che si fa da se`: non ce la fa ad essere un superuomo perche` si accorge di essere un nano spaventato che ha paura di tutto.
Anche di amare, della relazione con gli altri.
Non siamo fatti per stare da soli ma per stare con Dio e con gli altri: nella comunione soltanto possiamo realizzarci.
Questa specie di solitudine ci fa perdere anche il nostro lato umano nelle piccole cose della vita di tutti i giorni; riscoprire Dio nella mia vita mi permettera` di riscoprire ed amare anche l'uomo, gli altri. Voglio starmene di piu` in silenzio ed ascoltarlo di piu`.