Venerdì – XXX settimana del Tempo Ordinario

Letture: Fil 1,1-11 / Sal 110 / Lc 14,1-6


PIÙ CHE LECITO



Mentre viviamo giorni socialmente 'caldi', di proteste, scioperi e contestazioni – quando le voci si moltiplicano perdendo un po' del loro peso specifico – la parola evangelica risuona così forte e semplice che quasi ci ammutolisce, togliendoci l'istinto facile della replica: «E non potevano rispondere nulla a queste parole» (Lc 14,6). Si parla dei «dottori della legge» e dei «farisei» (14,3), ebrei seri e impegnati con cui il Nazareno si fermava spesso «in casa» per parlare e «per pranzare» (14,1). Davanti a loro Gesù compie un segno, che sembra assumere il tono della sfida e lo spessore dell'insegnamento. Nella casa dove si svolgeva il pranzo «stava» infatti «un idropico», proprio «davanti» (14,2) a Gesù. Allora il Maestro prende la parola e invita tutti ad uscire da un certo modo schematico di osservare la realtà e, quindi, anche gli altri: «È lecito o no curare di sabato?» (14,3). Ma essi – annota laconicamente l'evangelista Luca – «tacquero» (14,4).


Anche se a noi sembra il più delle volte accadere il contrario, la realtà assomiglia molto a questa scena: Dio, estremamente libero e ricco di amore, continua a lavorare incessantemente per la «diffusione del vangelo» (Fil 1,5) con il suo «profondo affetto» (1,8) per ogni creatura. Noi, stanchi e svogliati (idropici dentro?!) dopo aver provato un po' a vivere e un po' ad amare, ci fermiamo e rimaniamo senza «frutti di giustizia» (1,11) e senza parole. Non solo: nel nostro stare ad osservare la realtà inerti, sfidiamo silenziosamente Dio e la sua presunta onnipotenza, costringendolo ad offrirci conforto o ad indicarci una via d'uscita per i nostri problemi. Non essendo un tipo permaloso, il Signore sta al gioco e ci rivela quella strada nascosta, sempre percorribile che ricostruisce la nostra umanità e quella degli altri: «Gesù prese per mano l'uomo inaridito, lo guarì e lo congedò» (Lc 14,4). Poi, senza aspettare, invita a riflettere, attraverso una domanda solo apparentemente retorica: «Chi di voi, se un asino o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà subito fuori in giorno di sabato?» (14,5). E, precisa Luca, «non potevano rispondere nulla a queste parole» (14,6). Così dicendo il Maestro rivela che il suo gesto di guarigione non è nulla di straordinario, ma quanto ciascuno di noi solitamente è in grado di fare nei confronti delle cose che gli interessano davvero. Ancora una volta la Parola del Signore ci conduce al di là dei nostri egoismi e delle nostre mediocri aspettative nei confronti della vita, esortandoci ad arricchire la nostra «carità in conoscenza e in ogni genere di discernimento», per poter «distinguere sempre il meglio» (1,10). La scommessa del Vangelo sta tutta qui: provocare la nostra volontà a superare il lecito e a desiderare il meglio. Perché il meglio c'è sempre: è l'amore che possiamo scegliere di costruire, superando schemi e criteri dietro ai quali nascondiamo volentieri la nostra brutta solitudine. Chiudendoci la bocca, il Signore ci regala lo spazio acustico di un grande silenzio, nel quale possiamo ritrovare e restituire profondità ai nostri pensieri, ai nostri desideri, alle nostre scelte. Tante situazioni ogni giorno ci attendono silenziose e bisognose di qualcosa che noi – solo noi – potremmo fare. È rinfrancante pensare che Dio crede molto in questa nostra possibile crescita d'amore. Lo scopriamo ascoltando i sentimenti dell'apostolo Paolo nei confronti dei «santi in Cristo Gesù che sono a Filippi, con i vescovi e i diaconi» (Fil 1,1): «Sono persuaso che colui che ha iniziato in voi quest'opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù» (1,6).


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