Giovedì – XXVII settimana del Tempo Ordinario

Letture: Gal 3,1-5 / cf Lc 1,passim / Lc 11,5-13


INSISTENZA



Con una serie incalzante di domande – imbarazzanti e vere – l'Apostolo e il Maestro uniscono oggi le voci per strappare il velo che custodisce il segreto della nostra vita spirituale, ciò il mistero della nostra umanità che si compie davanti a Dio e accanto ai fratelli. 


I Galati, dopo «aver creduto alla predicazione» e aver «ricevuto lo Spirito» (Gal 3,2)  sembrano aver perduto la memoria del Vangelo, al punto che le loro «tante esperienze» rischiano di essere un capitale «invano» (3,4). L'amore ardente e cordiale di Paolo esplode in pungenti interrogativi: «O stolti Gàlati, chi mai vi ha ammaliati?» (3,1). L'apostolo, come un pastore premuroso e allarmato, cerca di scuotere le «Chiese della Galazia» (1,2) che si stanno pericolosamente allontanando dalla vita evangelica. Dopo un felice momento iniziale, durante il quale i Galati hanno conosciuto quel Dio che «concede lo Spirito e opera portenti» (3,5), nella comunità si manifesta la tentazione di tornare a credere che la salvezza «è per le opere della legge» (3,2). Dentro questa crisi possiamo riconoscere il più serio ostacolo alla vita di grazia secondo «lo Spirito» (3,2). L'idea di ricominciare a fondare la vita sulle opere, anziché sulla fede – quando non esprime il polemico e inutile scontro tra il fare e il credere – resta il rischio più grande per un discepolo del Signore Gesù. È infatti molto difficile rimanere in quella povertà di spirito che apre le porte al Regno e ci manifesta al mondo come figli e fratelli. Non ci sentiamo mai pienamente a nostro agio nei panni del mendicante. Eppure, anche le esperienze spirituali più feconde e durature presto o tardi ci lasciano in un vuoto che ci riconsegna alla nostra povertà, ma noi – subito –  tentiamo di riempirlo in ogni modo e a qualsiasi costo. E così facendo ricominciamo a vivere «privi d'intelligenza» (3,3) spirituale, dimenticando di aver «creduto alla predicazione» (3,5) del Vangelo, che ci ha donato la libertà e la dignità dei figli di Dio. 


Perché ciò accade? E non solo una volta, ma spesso durante l'arco della vita? Perché non è sufficiente sapere e dire le parole giuste per vivere una autentica vita di fede. Occorre avere e manifestare «insistenza» (Lc 11,8), che è l'unica forma che rivela un cuore convinto e avvinto dalla fiducia nel Padre. Il Maestro Gesù si era accorto che i discepoli per imparare a pregare (cf 11,1) non avevano solo bisogno di conoscere le parole per costruire un filiale rapporto con Dio. Era per loro necessario capire fino a che punto potevano entrare in confidenza con quel Dio che conosce già i nostri bisogni ancor prima che glieli presentiamo (cf Mt 6,8). Per questo li apostrofa e li interroga: «Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra? O se gli chiede un pesce, gli darà al posto del pesce una serpe? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione?» (11,11-12). Certo, la vita è fatta di tanti piccoli 'pani' quotidiani: il lavoro, la salute, il cibo, la casa, i vestiti, gli amici, i viaggi. E di queste cose dobbiamo (pre?)occuparci ogni santo giorno. Però è altrettanto vero che il cuore è pieno (e felice) soltanto quando è colmo dello Spirito di Dio. Ed è appunto a questo dono che la preghiera ha bisogno di tendere: «Il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!» (11,13) esclama il Signore dopo aver autorizzato i suoi discepoli a diventare inesausti mendicanti davanti al Padre.


In un tempo e in una società dove solo la novità appare vera ed attraente, la Parola di Dio oggi ci invita a ritrovare il gusto della ripetizione insistente per giungere all'antico e sempre nuovo orizzonte dello Spirito. Non perché Dio sia pignolo o – peggio ancora – divinamente lunatico. Più semplicemente, perché noi abbiamo bisogno di perforare il nostro cuore sempre un po' duro e depresso per raggiungere le falde di acqua viva che la provvidenza di Dio vi ha deposto per sempre nel nostro battesimo. Ci serve imparare a pregare con regolarità e umile ostinazione. Pregare non significa celebrare il ricordo della bontà di Dio, ma affondare le mani nel suo cuore per attingervi l'amore necessario al viaggio di ogni giorno. Senza alcuna pretesa. Senza alcuna paura. Senza correre il rischio di diventare «ammaliati» (Gal 3,1) e stanchi. Proprio noi! Noi che amiamo essere e sentirci discepoli del Misericordioso, pellegrini dell'Altissimo. Noi, cristiani.


Commenti

Anonimo ha detto…
Ciao Roby prima di tutto meriti un grazie per avere speso del tempo per riflettere sulla Parola per tutti noi.

Mi piace molto la parola insistenza perchè è ripetendo azioni, parole, pensieri che riusciamo ad imparare e fare nostri principi morali e comportamenti che altrimenti non metteremmo in atto perchè è molto più facile fare sempre di testa propria che pensare alle conseguenze buone e cattive di ciò che stiamo per fare o dire.

E' proprio grazie all'insistenza nell'ascolto della Parola, che tu e Carlo ci avete trasmesso in questi ultimi due anni a Varese, che ho fatto alcuni piccoli passi nel mio cammino di fede. E quindi ancora grazie.

Un abbraccio.

Mimmo