Esaltazione della Santa Croce

Letture: Nm 21,4-9 / Sal 77 / Fil 2,6-11 / Gv 3,13-17


LA PARTICELLA DI DIO



Oggi la chiesa celebra una festa impegnativa: l'esaltazione della santa croce. Di esaltati e di esaltazioni il nostro mondo ne è pieno, pertanto la prima parte del titolo non fa alcun problema. È invece il simbolo della croce e rendere difficile la comprensione di questa solenne liturgia, perché la croce è un terribile strumento di morte, di cui oggi conosciamo varianti solo in apparenza meno crudeli: sedia elettrica, lapidazioni, impiccagioni, iniezioni letali. La croce rappresenta il gesto più efferato e disumano che un uomo può compiere, decidendo di togliere la vita al proprio fratello. Noi però esaltiamo la croce santa, quella che Dio ha voluto liberamente abbracciare «perché il mondo sia salvato» (Gv 3,17). Se Dio ha scelto di salire su questo piedistallo, conviene fermarci a riflettere, e non aver paura di esaltare questo modo folle con cui Dio ha voluto rivelarci il suo volto di Padre. In fondo già gli antichi ritenevano che fosse lecito, per non dire necessario, impazzire un giorno all'anno (Semel in anno licet insanire, Seneca). Quest'anno siamo fortunati, perché la festa della croce cade di domenica, e quindi possiamo celebrarla tutti insieme con maggiore solennità e partecipazione.


Trailer

Il racconto del libro dei Numeri ci offre, in modo narrativo, i primi tentativi fatti da Dio per annunciare il mistero della croce. Il popolo di Israele è uscito dalla schiavitù d'Egitto e sta camminando verso la terra promessa da Dio, ma «non sopportò il viaggio» (Nm 21,4). Si diffonde lo scontento e nasce una vera e propria ribellione «contro Dio e contro Mosè» (21,5). Il popolo avverte i morsi brucianti della sfiducia e dell'orgoglio, velenosi come «serpenti» (21,6) che uccidono la capacità di camminare: «E un gran numero d'Israeliti morì» (21,6). Allora Dio interviene con un segno di salvezza: «Mosè allora fece un serpente di bronzo e lo mise sopra l'asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di bronzo, restava in vita» (21,9). Era il trailer della croce, lo spot dell'aiuto che Dio cominciava ad assicurare all'uomo che si stanca e si scoraggia a metà del viaggio della vita. L'uomo poteva trovare in questo segno di salvezza un duplice aiuto: da una parte l'aiuto a guardare in faccia il proprio male, dall'altra l'invito a non dimenticare che Dio dall'alto non vuole che nessuno dei suoi figli «vada perduto» (Gv 3,17).


Prima (e ultima) visione

Nella pienezza dei tempi, quando il Figlio di Dio si è fatto carne, dal trailer siamo passati alla prima visione. Le parole che Gesù scambia di notte con il cercatore Nicodemo aprono definitivamente il sipario, lasciando vedere fino in fondo il segno e il significato della croce: «E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna» (3,14-15). L'episodio dell'Esodo viene da Gesù ripreso e attualizzato, diventando un simbolo potente nel quale tutta l'umanità e tutta la storia si possono riconoscere. Il popolo in cammino è la famiglia umana, il deserto è il mondo nel quale tutti viviamo il passaggio alla vita eterna, i serpenti che ci mordono sono le passioni inutili che ci impediscono di portare a termine il viaggio della nostra vita: gli attaccamenti morbosi alle cose di questo mondo, gli egoismi, i deliri di onnipotenza e i sogni di potere, e chi più ne ha più ne metta! Dio, che ci ha creato, ci ama e vede la nostra radicale difficoltà a camminare fino a lui «ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (3,16-17). Dio ci vuole così tanto bene che, vedendoci morire e soffrire, fa la pazzia: si mette al nostro posto. Era necessario. Per lui e per noi. Dio non poteva non dimostrarci il suo infinito amore, perché l'amore per sua natura tende a manifestarsi, come la luce. E noi avevamo bisogno di capire che davanti alla nostra miserabile storia umana non c'è un Dio che vuole «condannare il mondo», ma un Amore immenso che desidera che «il mondo sia salvato» (3,17). Solo attraverso questa Buona Notizia, possiamo rialzarci e riprendere il cammino. La croce del Signore Gesù è la manifestazione di quanto amore «bruciante» ci sia nel cuore di Dio per noi. Più di questo Dio non può dirci e darci nulla. Ultima – splendida – visione del suo mistero.


Un modo di vivere (e non di morire)

Per quanto sia bello ricordarci che Dio ha sofferto per noi, ciò non è sufficiente ad esaltare la croce in senso evangelico. Potremmo correre il rischio di valorizzare il dolore o – peggio ancora – l'eroismo, incrementando il gregge dei disperati che passano la vita a deprimersi oppure accodandoci all'esercito dei megalomani che trascorrono i giorni alla ricerca di un applauso. Forme diverse e simili di individualismo, che chiudono la partita della vita in una triste solitudine. Le parole dell'apostolo Paolo completano la catechesi di questa festa, ricordandoci che la croce è un modo di vivere, non un modo di morire. Gesù è salito sulla croce perché ha voluto condividere la nostra vita, anche quando ciò ha significato per lui conoscere la sofferenza e la persecuzione, l'amarezza del nostro rifiuto. Questo modo di vivere «obbediente» a noi, ci ha rivelato un mistero di amore: Dio ci vuole bene «fino alla morte e una morte di croce» (Fil 2,8) perché non può rinunciare mai a considerarci suoi figli. Per questo Dio «esaltò» Cristo Gesù dandogli «il nome che è al di sopra di ogni nome» (2,9). Noi invece cerchiamo di esaltarci in modo patetico, abbassando gli altri e ritenendoli – almeno – peggiori di noi. Oppure tentiamo di amare in quel modo un po' depresso e aggressivo che ci fa oscillare tra momenti in cui siamo i servi di tutti, a momenti in cui scarichiamo sugli altri tutta la nostra aggressività. 


Fare memoria, esaltare la croce, significa accettare un profondo ripensamento del nostro modo di vivere. Durante il giorno facciamo il segno della croce tante volte: quando ci alziamo, prima dei pasti, prima di andare a letto. Forse è necessario ridare senso a questo gesto con il quale manifestiamo, senza imbarazzo e senza dover imbarazzare nessuno, le nostre intenzioni profonde di servizio e di amore verso i fratelli. Esaltare la croce significa rinnovare il desiderio di essere discepoli che vogliono imitare il Maestro, fino a mettere l'interesse dell'altro davanti al proprio. L'esaltazione della croce è l'antidoto ad una vita cristiana che possa in qualche modo coincidere con la ricerca di «un privilegio» (2,6) davanti a fratelli, anziché un servizio generoso nei loro confronti. È l'antidoto per le nostre stanchezze personali, per le penombre familiari, per il brutto clima che talvolta si respira negli ambienti di lavoro. 


In questi giorni la comunità scientifica è in fibrillazione di fronte alla possibilità di rilevare la cosiddetta 'particella di Dio', una particella ipotizzata ma finora mai osservata che, a livello fisico, potrebbe essere una sorta di matrice di tutte le particelle che esistono. Bello, interessante! Da un altro punto di vista, quello del senso della vita, la particella che dà origine al mondo e alla storia noi però l'abbiamo già veduta: è la croce santa del Signore, quel modo di vivere che Dio ci ha rivelato donandoci il suo «Figlio unigenito» (Gv 3,16). Quel modo di vivere che anche noi possiamo ricollocare al centro della nostra libertà. Per amore di Dio e dei fratelli.


Commenti

Anonimo ha detto…
PREMESSA.
Un punto di per sé non è visibile. La matematica ci insegna che è privo di estensione. Insomma c'è ma non si vede, è un concetto, una posizione. Un punto è pure il fulcro, quello che non è superfluo di una frase. Vien da chiedersi: perché le cose più importanti sono sempre faticose da trovare?

A COSA SERVE UNA CROCE (IN BRICOLAGE).
Chiunque voglia piantare un chiodo in centro al muro, prenda per riferimento il pavimento e l'angolo, misuri la distanza dal basso e dal lato, segua con il metro due linee immaginarie e tracci due segmenti, uno verticale e uno orizzontale, trovi così l'intersezione. Nel mezzo del piccolo scontro che unisce verticale e orizzontale, c'è il luogo dove poggiare la punta del chiodo. Inizi, battendo, a sprofondare nell'intonaco.
AVVERTENZA: si usi la matita, in modo che la piccola croce segnata sulla parete sia reversibile: in un primo momento mostrerà il posto minuscolo cercato, poi, piantato il chiodo, apparirà superflua, addirittura distraente e poco estetica.

A COSA SERVE UNA CROCE (IN GENERALE).
Fin da piccolo speravo che il crocifisso mi parlasse. Guardavo con insistenza quello in chiesa o sopra al letto. Nessuno aveva comunicazioni da farmi. Poi ho smesso di aspettare: avevo l'impressione che così, senza sentirsi più in dovere, Gesù forse mi avrebbe sussurrato qualcosina. Silenzio. Poi sono cresciuto. Se visitavo una cattedrale guardavo ancora con la coda dell'occhio il crocifisso, sperando che fosse quello buono, uno loquace. Mi fermavo ai due segni in matita, destinati a scomparire. Per una vita.
Poi un giorno ho pensato che il dolore è come un chiodo: punge e serve. I bracci della croce sono gli assi, i segni sulla mappa del tesoro, l'indirizzo di un posto dove si consiglia di affondare. Ho avuto l'impressione che se i miei pugni su di me avessero trovato un bersaglio fatto apposta, allora forse ci saremmo potuti salvare, senza sfondarci a furia di picchiare. Avremmo prodotto energia pulita con l'acqua nera da buttare.
Ecco la Croce che sta zitta perché così mi può ascoltare.
Ecco la Croce che non dice e il punto dove sparisce.