XXII Domenica del Tempo Ordinario – Anno A

Letture: Ger 20,7-9/ Sal 62 / Rm 12,1-2 / Mt 16,21-27

  

COME UN FUOCO



Ascoltare il Vangelo ogni domenica è un po' come sfogliare l'album di famiglia. Alcune fotografie risultano belle e non ci si stanca di guardarle. Altre invece non catturano subito la nostra attenzione. Ce ne sono alcune poi che, volentieri, toglieremmo dalla raccolta. Anzi, ci chiediamo come mai non lo abbiamo ancora fatto. Proprio come il Vangelo di questa domenica, brano scomodo e prezioso, che lo Spirito Santo ha suggerito ai redattori del testo sacro di custodire e trasmettere come indispensabile frammento del mistero di Dio e della nostra incapacità di comprendere il suo pensiero.


Guastafeste

Ricordiamo la fotografia di domenica scorsa? Spalle di Gesù in basso a sinistra, domina la scena il gruppo sorridente dei discepoli, capeggiato da un Pietro gonfio di gioia e di orgoglio, dopo essere stato eletto papa da un improvvisato conclave. Splendido: W Pietro, W il papa, W la chiesa cattolica! Siamo tutti molto contenti di essere cristiani. E cattolici! Nuova immagine: il Maestro ha il volto sdegnato e, rivolto verso i discepoli, sembra pronunciare parole tese e infuocate. Sullo sfondo il pescatore Simone con un viso attonito: ha appena ciccato il suo primo discorso ufficiale, ha sbagliato la sua prima enciclica. Proprio davanti al Maestro! Che cosa è successo tra i due scatti? Gesù ha tentato di spiegare che tipo di «Cristo» (Mt 16,16) vuole diventare, ha illustrato il suo imminente destino: «Andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno» (16,21). Il Maestro ha appena provato a raccontare ai suoi discepoli il suo desiderio ardente di rivelare il volto misericordioso del Padre, anche se questo dovesse costargli la sofferenza e la morte. Gesù non si è esibito come titano muscoloso davanti ai suoi ammiratori, ma si è dichiarato Messia umile, aprendo il suo cuore davanti ai suoi amici. Ha mostrato il «fuoco ardente» della sua coraggiosa volontà di amore, simile a quel desiderio bruciante che il profeta Geremia aveva nelle ossa: «Mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo» (Ger 20,9). Era troppo bello, troppo grande l'amore nel cuore di Cristo per non condividerlo con i suoi discepoli, quel giorno così speciale nel quale avevano finalmente riconosciuto in lui l'atteso Messia, annunciato da tutti i profeti.

Pompieri (indemoniati?)

 Ma, davanti alle parole del Maestro, il volto dei discepoli si fa improvvisamente triste e corrucciato. Non si aspettavano un simile discorso e fanno fatica a rinnovare il loro «modo di pensare»  (Rm 12,2) Dio e la sua salvezza. La reazione del leader – Pietro – è istintiva e umanissima. Prende «in disparte» il Signore e «si mise a rimproverarlo dicendo: 'Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai'» (Mt 16,22). È logico, avremmo fatto così anche noi: Maestro dai, non parlare così; guarda che le truppe si scoraggiano se ti metti a parlare di sofferenza, morte, persecuzione! Non rovinare la tua immagine, Maestro Gesù! Pietro sperava che, finalmente, con la venuta del Cristo di Dio si potesse dire addio a tutte quelle cose che ci fanno paura: la sofferenza, la solitudine, le malattie. Invece Gesù sta dicendo che la presenza definitiva di Dio nella storia non toglie il mistero del male, ma fa brillare fino in fondo quello del bene. Con Dio la storia è finalmente piena della capacità di amare, anche di fronte al rifiuto e all'indifferenza. Questa è la salvezza! È difficile per i primi discepoli, come per noi che siamo gli ultimi, accettare la rivelazione di un Dio che manifesta la sua pienezza nella debolezza dell'amore, anziché nella potenza e nella gloria. Come Pietro tendiamo – molto devotamente – a metterci davanti al Maestro, nel tentativo – inutile – di saperla più lunga di lui. 

Veri discepoli

La reazione del Maestro di fronte questo folle tentativo è durissima. Si gira, mettendo Pietro alle spalle, e gli dice: «Va' dietro a me» (16,23), ricomincia a fare il discepolo! E aggiunge «Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (16,23). Quindi allarga il discorso a tutti i discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà» (16,24-25). Gesù ha capito qual è il nostro problema: ci mettiamo troppo al centro, in mille modi, antichi e nuovi. Anche oggi il nostro principale problema come discepoli è – credo – il grande mito dell'autorealizzazione: devo fare ciò che mi piace, mi fa star bene, ciò che mi gratifica, ciò che mi lascia libero, ecc. Niente di male in queste aspirazioni; un solo problema: da soli non riusciamo a realizzarci. Solo Dio conosce veramente noi stessi e il nostro vero bene! Noi invece lo dimentichiamo molto velocemente. Il nostro vero bene è l'amore, la capacità di offrire la nostra vita e di accogliere la vita degli altri. Esattamente il progetto di vita spirituale sintetizzato dall'apostolo Paolo: «Offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale» (Rm 12,1). Il duro rimprovero del Maestro oggi risuona nella nostra coscienza e ci esorta a non conformarci a «questo mondo» (12,2), questo splendido mondo che Dio ama, ma che sta dimenticando il suo fine. La parola del Signore ha la capacità di «trasformare» il nostro cuore e di rinnovare il nostro «modo di pensare» (12,2), per aiutarci a capire che non serve a nulla «guadagnare il mondo intero» se poi si perde il senso della «vita» (Mt 16,26) che troviamo soltanto nell'amore. Ancora una volta il Vangelo ci indica «ciò che è buono», «gradito e perfetto» alla sua «volontà» (Rm 12,2), ricordandoci che il vero male non è la sofferenza, che tutti conosciamo e sperimenteremo fino alla prova estrema della morte. Il vero male è non amare, non ardere, non riuscire ad offrire quello che siamo. La vita infatti è un dono e a volte donare implica la necessità della sofferenza. Per questo siamo stati creati: per diventare amore. Amore ardente! Lasciamoci dunque trasformare dal fuoco che nel Battesimo abbiamo ricevuto in dono. Altrimenti come ci sentiremo, tiepidi e pusillanimi, in una festa di fiamme, fuoco e amore, quando «il Figlio dell'uomo» verrà «nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli»?!


Commenti