XVIII Domenica del Tempo Ordinario – Anno A

Letture: Is 55,1-3 / Sal 144 / Rm 8,35.37-29 / Mt 14,13-2124-43

  

SENZA PAGARE



Più (+)

Domenica scorsa il Signore Gesù ci invitava a trasformare la nostra vita in una caccia al tesoro (Vangelo), lasciandoci guidare da un cuore docile (I lettura) e realizzare così disegno di Dio (II lettura). Nella liturgia di oggi le letture sacre ci prendono per mano e guidano i nostri passi alla ricerca e alla comprensione del tesoro nascosto nel campo del mondo.


Meno (-)

Di tesori siamo tutti appassionati ricercatori. Anche perché le cose nel nostro Paese non sembrano andare così bene: l'inflazione e le tasse aumentano, le pensioni non bastano, i giovani non trovano lavoro, il precariato dilaga. I problemi economici campeggiano sui titoli di giornali e programmi televisivi. Si tratta senza dubbio di un problema serio ed evidente, dal momento che viviamo in una società in cui tutto – ma proprio tutto – ha un prezzo. Persino le cose più belle e sacre sono soggette ad una assurda valutazione economica. Ma sarà poi questo il vero problema? È davvero l'insufficienza di cibo, soldi, vestiti il motivo della profonda crisi che i credenti nel Vangelo devono affrontare nell'incasinato duemilaeotto dopo Cristo? Francamente, penso di no. Ritengo che le domande – niente affatto retoriche – del profeta Isaia conservino una struggente attualità: «Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro guadagno per ciò che non sazia?» (Is 55,22). Non siamo sazi, abbiamo i crampi allo stomaco, spendiamo male le risorse che il Signore ci ha donato: questo è un problema importante di cui quasi nessuno parla seriamente. Sembra che Dio abbia qualcosa da dirci a riguardo: «Su, ascoltatemi e mangerete cose buone e gusterete cibi succulenti. Porgete l'orecchio e venite a me, ascoltate e vivrete» (55,2-3). Nel Vangelo troviamo uno splendido compimento alle suggestioni gastronomiche di Isaia. Anche se il racconto prende avvio da un momento piuttosto amaro della vita del Maestro, precisamente quando viene a sapere della morte del cugino, Giovanni il Battista, decapitato dal pusillanime «tetrarca Erode» (Mt 14,1). Gesù sente il desiderio di ritirarsi «in un luogo deserto, in disparte», per pregare e meditare il triste avvenimento. Ma accade che «le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città» (14,13). Allora il Signore, vedendo la gente bisognosa e afflitta, ne prova compassione, mette da parte se stesso e si pone a loro servizio. «E guarì i loro malati» (14,14), dice il Vangelo. Sottrae attenzione a se stesso. Lo fa per amore il Maestro Gesù.


Diviso (/)

Sul fare della sera – per fortuna – arriva il buon senso dei discepoli, che si accostano al Maestro per dirgli: 'Bravo Gesù, sei davvero il Rabbì migliore che potesse capitarci. Ora però, si è fatto tardi ed è giusto che noi ci ritiriamo e lasciamo che ciascuno si organizzi per la cena'. In termini più biblici: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare» (14,15). Non appena sente il verbo comprare, il Signore si ricorda delle promesse di Isaia e propone un'altra strada: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare» (14,16). Gesù chiede ai discepoli di mettere in atto la stessa logica che lo ha spinto a condividere le sue residue energie per accogliere e guarire le folle malate: condividete il cibo che avete. Il buon senso dei discepoli si attiva di nuovo: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!» (14,17). Gesù, insomma, un po' di realismo! L'uomo non vive soltanto di preghiere e di sorrisi!! I discepoli non stanno capendo che mangiare non è solo riempire il ventre, ma anche il cuore. Mangiare è gustare relazioni buone, che attorno alla mensa si alimentano e si esprimono. Gesù sta indicando la strada della condivisione che ha origine nella compassione e consiste nella la capacità di guardare l'altro fino in fondo al suo autentico bisogno. È la condivisione il cibo che sazia il cuore e ci possiamo scambiare «senza denaro, senza pagare» (Is 55,1). La condivisione è l'arte di amare con ciò che siamo e con quello che abbiamo. Senza stancarci. Senza rassegnarci. Sempre.


Per (X)

Poi il miracolo lo fa Dio: è il suo mestiere! Gesù ordina ai discepoli di portargli il loro poco e, scrive Matteo, «dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull'erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzo i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla. Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene» (Mt 14,19-20). Dio sazia «il desiderio di ogni vivente» (salmo responsoriale) perché può e vuole farlo. Egli è Creatore e Padre, «la sua tenerezza si espande su tutte le creature». Ogni giorno, ogni istante, Dio moltiplica e sostiene la vita del mondo. Qualora smettesse di farlo tutta la creazione imploderebbe nell'oblio. Noi non dobbiamo salvare il mondo o guarire tutti, ma imparare a condividere la vita e le cose della vita, soprattutto quando ci sembra impossibile o assurdo farlo. Perché magari il dolore è grande nel nostro cuore, oppure perché l'altro non ci può offrire niente in cambio. Ma proprio queste circostanze, che sfuggiamo come la morte, sono state per Gesù l'occasione di fare il miracolo e rivelarne il senso. Se ascoltiamo la logica profonda che ha permesso al Maestro di moltiplicare il poco cibo, allora abbracciamo il suo modo di vivere e di amare che si esprime nella condivisione. E gustiamo la gioia di legami profondi e indissolubili con gli altri, perché quando scegliamo di condividere con gli altri creiamo un indistruttibile vincolo di libertà e di amore, come san Paolo intuisce meditando il mistero della Pasqua di Cristo: «Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Io sono persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore» (Rm 8,38-39).


Il miracolo compiuto quel giorno da Gesù sulla riva del lago di Galilea prefigurava il dono dell'eucaristia che ogni giorno noi celebriamo. Spezzando il pane insieme noi riceviamo la forza per dilatare ancora la nostra capacità d'amore. Dicendo 'Amen' davanti al Signore che si offre a noi, ci impegniamo a condividere con gli altri ciò che abbiamo ricevuto. Senza eroismi e senza paura. Così poniamo sulla mensa del mondo «cose buone» e «cibi succulenti» (Is 55,2), i pani dell'amicizia e il calore della fraternità. Così portiamo a compimento la «alleanza eterna, i favori assicurati a Davide» (55,3).


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