Giovedì - XXI settimana del Tempo Ordinario

Letture: 1Cor 1,1-9 / Sal 144 / Mt 24,42-51


NELL'ATTESA



Noi discepoli del Rabbì Gesù – noi cristiani – da sempre viviamo dentro una paradossale tensione, che si è soliti riassumere con le parole già e non ancora. Sappiamo – siamo sicuri – che Dio sia entrato pienamente e definitivamente nella storia, eppure dobbiamo attendere il suo ultimo ritorno, accettando con serenità la sua evidente assenza sul palcoscenico della storia. Ad alleggerire i costi di questa faticosa esperienza ci sono i Sacramenti, che rendono attuale ed efficace il mistero dell'Incarnazione, c'è il dono dello Spirito che abita e anima i nostri cuori, c'è la realtà, segno tangibile della bellezza divina. Naturalmente ci sono gli altri, nostri fratelli. Ciò nonostante l'attesa rimane un tempo difficile, durante il quale emergono molte insospettate ombre. Occorre allora radunare qualche punto di riferimento, perché questo divino intervallo sembra essere piuttosto lungo. Si distende ormai lungo i secoli. La liturgia di oggi intende offrire luce e conforto alla nostra capacità di attendere. 


Nella prima lettera ai Corinzi l'apostolo Paolo ci svela il senso profondo di questa forzata attesa dei tempi ultimi: «Fedele è Dio, dal quale siete stati chiamati alla comunione del Figlio suo Gesù Cristo, Signore nostro» (1Cor 1,9). Stiamo per entrare in comunione con Dio, «arricchiti di tutti i doni» (1,5). Non si tratta di un percorso personale, ma comunitario, fraterno, dal momento che siamo «chiamati ad essere santi insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo, Signore nostro e loro» (1,2). Wow! Ecco perché il Santo è venuto in mezzo a noi – nella vita, morte e risurrezione di Cristo – e poi ha deciso di uscire di scena fino alla fine del mondo: per farci diventare – responsabilmente – «ciò che abbiamo udito, ciò che abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato» (1Gv 1,1). La «pace» (1Cor 1,3) che insieme possiamo costruire e custodire è il compito che Dio ci ha affidato, in questo prolungato tempo nel quale la storia sembra abbandonata a se stessa. In realtà non lo è affatto, ma «nessun dono di grazia più ci manca», mentre aspettiamo «la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo» (1,7). Insomma – sembra dirci Paolo – siamo tutti in attesa: a volte in coda sotto il sole, compressi e stanchi; altre volte all'ombra di giorni felici e sereni. In ogni caso tutti stiamo per ricevere un meraviglioso destino, che dobbiamo però desiderare con fedeltà, «irreprensibili» (1,8).


Esiste infatti il pericolo concreto e serissimo di vivere male questa attesa, come ci ricorda il Vangelo. Possiamo approfittare del fatto che «il padrone tarda a venire» e accogliere nel nostro cuore un pensiero malvagio: «bere e mangiare con gli ubriaconi», «percuotere» i «compagni» (Mt 24,49). Questo è quanto ci capita – in forme più o meno appariscenti – ogni qualvolta ci rifiutiamo di «dare il cibo» ai fratelli, cioè di usare il «tempo» per un intelligente e amorosa dedizione al mondo e agli altri. Promette il Maestro: «Beato quel servo che il padrone al suo ritorno troverà ad agire così! In verità vi dico: gli affiderà l'amministrazione di tutti i suoi beni» (24,46-47). Possiamo diventare amministratori delegati di Dio, assicura Gesù, dopo le già confortanti prospettive offerte dall'apostolo Paolo. Per farlo non dobbiamo bruciare il tempo dell'attesa, ma riempirlo di energia buona e calda. Moltissimi lo hanno fatto prima di noi. Li chiamiamo santi. Domandiamo a Dio di aiutarci anche attraverso la loro intercessione. Non abbiamo scuse, né facilitazioni, perché per vivere questa attesa – in realtà – non ci manca nulla. Anzi, proprio le circostanza meno favorevoli si possono trasformare in un trampolino di lancio, se accolte con fiducia e speranza. Dio attende per tornare. Attende di sapere che cosa stiamo aspettando, quali sogni abitano il nostro cuore, quali desideri profondi muovono i nostri passi. Nell'attesa, sicura, che «il Figlio dell'uomo verrà» (24,44).


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