XVI Domenica del Tempo Ordinario – Anno A

Letture: Sap 12,13.16-19 / Sal 85 / Rm 8,26-27 / Mt 13,24-43


PAZIENZA!



Gesù non si stanca di parlarci con «un'altra parabola» (Mt 13,24). Anzi, di parabole ce ne racconta addirittura tre. E lo fa in un momento della sua vita in cui le cose non si stavano mettendo troppo bene per lui: «i farisei» avevano si erano già accordati «per toglierlo di mezzo» (12,14) perché ritenevano che operasse per conto di Satana (cf 12,22-24), il suoi parenti non capiscono più nulla perché Gesù comincia a chiamare «madre» e «fratelli» i suoi discepoli che lo ascoltano e fanno la «volontà del Padre» (cf 12,49-50). Insomma, la presenza di Gesù è ormai avvertita come scomoda e misteriosa, non molto distante da quella considerazione che oggi ricevono i discepoli e le chiese cristiane nel mondo occidentale, che – come ha ricordato il papa ai giovani di Sidney – ha ormai deciso di mettere Dio da parte. Matteo pone queste pagine nel suo Vangelo perché anche la prima comunità conosceva molte difficoltà non facili da gestire: c'erano i giudei e i pagani, i deboli e i forti. Anche noi ascoltiamo con interesse queste parabole, consapevoli del fatto che davanti ai nostri occhi esistono situazioni complesse che non sappiamo come interpretare e facciamo fatica a ritrovare l'atteggiamento più evangelico per poter costruire quella parte del regno di Dio che ci è stata affidata.


Bene (e male)

Delle tre parabole contenute nel Vangelo di oggi, una sembra toccare maggiormente il cuore dei discepoli che si affrettano a chiedere: «Signore, spiegaci la parabola della zizzania nel campo» (13,36). Già, è splendida l'immagine del granellino che – inarrestabile – si trasforma in un grande albero! Meravigliosa e semplice quella dell'invisibile lievito, capace di far crescere tutta la pasta. Sono metafore  che ci regalano una immediata speranza e ci spingono a pensare: le cose andranno bene! Ma quella della zizzania è più intrigante, perché affronta un tema che tutti conosciamo e di cui parliamo volentieri: il bene e il male. Prima che molti fiumi di inchiostro, innumerevoli pagine di romanzi e pellicole cinematografiche si avventurassero in questo tema, il Maestro Gesù ne parla in maniera semplice e profondissima. Il racconto è semplicissimo: il regno dei cieli è come un uomo che ha seminato del buon seme, ma quando il grano cresce appare anche una zizzania che un nemico, durante la notte, ha seminato nel campo. Cioè: il bene e il male sono coinquilini, convivono e crescono insieme. Dio ha donato alla creazione una certa libertà, che non è revocata quando qualcuno decide di utilizzarla in favore del male.


Ecco la reazione dei servi, la nostra: «Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?» (13,27). Dietro a questo disappunto, apparentemente logico e opportuno, si nasconde un certo giudizio nei confronti di Dio, che si trasforma velocemente in un vero e proprio processo, di fronte al quale, come ci ricorda il Sapiente, Dio deve continuamente difendersi «dall'accusa di giudice ingiusto» (Sap 12,13)! Insensibile, ingiusto, lontano, assente, duro: sono le accuse perenni che l'umanità grida al cielo. Quasi che Dio facesse il male, mentre noi ci sforziamo il più possibile di compiere il bene. Per fortuna le cose sono esattamente al rovescio e Dio non è né distratto, né cattivo. Semplicemente si prende cura di «tutte le cose» (12,13) e cerca di farlo con infinita pazienza: «Padrone della forza, tu giudichi con mitezza e ci governi con molta indulgenza, perché, quando vuoi, tu eserciti il potere» (12,18). La mitezza di Dio non è da intendersi tanto come debolezza o impotenza, ma come volontà e capacità di dominare la propria forza, di governarla, di addomesticarla, di orientarla. È una forza d'amore che si esprime nella capacità di attendere i tempi dell'uomo e nella fiducia accordata senza ripensamenti alle sue buone facoltà. Per questo Dio concede «dopo i peccati» la possibilità del «pentimento» (12,19). Al contrario noi, quando ci accorgiamo che qualcosa non va bene, istintivamente cerchiamo di trovare subito un rimedio, magari quello più radicale: cancellare le prove! Infatti i servi devotamente domandano: «Vuoi che andiamo a raccogliere la zizzania?» (Mt 13,28). Ma il padrone risponde ai servi: «No». E spiega: «Perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l'una e l'altro crescano insieme» (13,29-30).


Non sta a noi decidere, perché non vediamo ancora bene la realtà delle cose, il nostro cuore non è capace di giusti giudizi. Non siamo ancora capaci di coniugare forza e pazienza, verità e misericordia. Abbiamo ancora molte cose da imparare dal Padre. Se tentiamo di estirpare quella che a noi sembra essere inutile e dannosa zizzania rischiamo di fare danni giganteschi. Dio non è ingenuo, né ottimista a buon mercato. Dio è mite perché è sicuro della qualità buona del suo seme e della capacità della terra di farlo germogliare. Dio ha seminato bene la sua terra: la creazione è buona, il mondo è bello! In ogni cosa c'è un germe di vita che va rispettato e valorizzato, affinché possa crescere e portare frutto. Così quando vediamo malvagi che compiono crimini e ingiustizie noi dobbiamo sperare con Dio nella loro conversione. Ok, il male esiste. Nel nostro cuore e nella vita del mondo si nascondono ombre profonde. C'è anche una presenza misteriosa che chiamiamo il diavolo: «Un nemico ha fatto questo!» (13,28). Ma è solo un disturbo. Non bisogna lasciarsi ossessionare da questa presenza, come se tutto fosse già perduto! Occorre scegliere la mitezza come capacità di convivere con il negativo, di non giudicare e non estirpare le tensioni negative presenti nel mondo, presumendo di vedere con troppa facilità quali siano i loro esatti contorni. 


Dentro e fuori

Questa pazienza che Dio ha nei confronti della nostra vita è scandalosamente bella, ed è l'unica spiegazione che noi discepoli possiamo stringere tra le mani. Le cose stanno così come Gesù ci ha rivelato: nel mondo e nella nostra vita, bene e male convivono. Talvolta la differenza tra i due non è facile da riconoscere. Dobbiamo affrontare la fatica di stare davanti a questo inquietante spettacolo, senza ricorrere frettolosamente a giudizi e a giustizialismi. In una società fortemente tentata di impazienza, noi cristiani siamo chiamati a seguire le orme del nostro Maestro mite e umile di cuore, rinunciando alla presunzione falsa e arrogante di sapere e definire con chiarezza chi è buono e chi è cattivo, quale vita è degna di essere vissuta e quale no! Ma questa impazienza sociale la ritroviamo identica dentro di noi, che facciamo fatica a riconoscere i nostri limiti, a chiamare per nome i nostri peccati, a rimanere in silenzio con noi stessi, rimbambiti da miti fasulli che ci impongono di dover essere sempre accesi, efficienti, splendidi e funzionanti! Viviamo lontani e scollegati dalla nostra «debolezza», l'unico luogo dove ci «viene in aiuto» lo «Spirito» (Rm 8,26), la potenza dell'amore infinito di Dio.


Umanità nuova

Pazienza allora, se le cose non vanno ancora come vorremmo! Dio è il primo sognatore che non si scoraggia mai di fronte alla lentezza della storia e alla durezza dei nostri cuori. Non mettiamoci davanti a lui, ma continuiamo a guardare le cose con i suoi occhi! Pazienza, fratelli e sorelle, se viviamo tempi bui, nei quali accanto a meravigliose opportunità suscitate dall'ingegno umano convivono atrocità e ingiustizie! Pazienza, discepoli del terzo millennio, se la Chiesa, le nostre comunità, le nostre celebrazioni non riescono sempre ad essere Vangelo, trasparenza liberante del Risorto! Pazienza, se pensavamo di essere persone migliori e invece siamo dei poveri peccatori! Ci rimane la vita – che è eterna – per diventare ciò che Dio un giorno ha sognato quando ha cominciato a pronunciare il nostro nome. Il Maestro Gesù oggi ci insegna a guardare le cose della vita senza panico e ci ricorda che il nostro compito più importante è «amare gli uomini» (Sap 12,19), attraverso la forza dello «Spirito» (Rm 8,27) che tiene viva dentro di noi quella «buona speranza» (Sap 12,19) che è anche dentro il cuore di Dio: i nostri peccati, il male del mondo, la zizzania non sono il senso della vita e della storia. Il campo del mondo sta diventando un «umanità nuova» (cf colletta), gli uomini e le donne stanno diventando figli di Dio, che un giorno «spenderanno come il sole nel regno del padre loro».


«Chi ha orecchi, ascolti!» (Mt 13,43).



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