XII Domenica del Tempo Ordinario – Anno A

Letture: Ger 20,10-13/ Sal 68 / Rm 5,12-15 / Mt 10,26-33


Niente paura, diceva una canzone di successo qualche mese fa (Ligabue, nda). Lo stesso messaggio ci rivolge in questa domenica il Signore Gesù attraverso una splendida pagina di Vangelo, che vuole consolarci e, al contempo, restituirci alla faticosa responsabilità della testimonianza. Domenica scorsa avevamo visto la nascita della chiesa, la comunità dei chiamati ad annunciare gratuitamente la parola di salvezza a tutti gli uomini. Sappiamo quanto è difficile farlo. Soprattutto oggi, in un mondo che di Dio non ne vuole sentir parlare, perché crede o che non esista, oppure che non sia necessario per una vita autenticamente libera. Anche il Signore sa quanto è difficile annunciare il volto misericordioso del Padre. Per questo – da buon Maestro – invita il nostro cuore ad ascoltare la sua Parola mite e potente.


FIFONI

Di paure ne abbiamo un'infinità! Da piccoli temiamo il buio, chi grida, i mostri. Da adolescenti abbiamo paura di noi stessi, dell'altro sesso, siamo schiacciati dai complessi di inferiorità, timidezza, aggressività. Da adulti le paure si riducono ad una forma cronica di timore: l'angoscia. Viviamo tremando: abbiamo paura del futuro, della morte, del domani, dell'esistenza stessa! Tutto ciò appare buffo, per non dire grottesco, nel contesto di una società che si affanna con estrema determinazione per mettere a punto ogni genere di comfort che possa rendere l'esistenza più piacevole. Palestre, centri benessere, saloni di bellezza, ristoranti, bar: il nostro corpo è servito e riverito in ogni sua esigenza. E l'anima? Che attenzione gli riserviamo nella nostra economia settimanale? Pensiamo a tutto, ogni giorno, tranne che a progettare in modo serio la salvezza della nostra anima. Infatti accanto alle paure che condividiamo con ogni uomo e ogni donna, noi cristiani siamo in questa domenica chiamati a verificare il livello di un'altra paura: quella di testimoniare la nostra fede nel Padre e nel Vangelo del Figlio. Sono una bella doccia fredda per tutti i credenti le domande poco retoriche di Rabbì Gesù: «Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l'anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geenna e l'anima e il corpo. Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!» (Mt 10,28-31). Immersi in una società che ha posto al centro dei suoi interessi l'economia, il benessere, l'efficienza, anche noi cristiani siamo sprofondati in una infinita paura di rivelarci al mondo come figli di Dio, discepoli di un Messia povero e umile. Capita sempre più frequentemente che i contenuti della nostra fede siano difesi o promossi da persone laiche o appartenenti ad altre confessioni religiose; perché? Non ci starà mica capitando di aver davvero paura di mettere la nostra pelle sulle cose che il Signore ci dice e che altri prima di noi hanno creduto e testimoniato?! Mi sa di sì. Mi sa che siamo diventati un po' fifoni! Impacciati e pusillanimi.


ROMPISCATOLE...

Gesù ha una proposta sconcertante per la nostra fede secolarizzata e mimetizzata: «Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all'orecchio voi annunciatelo dalle terrazze» (10,27). Cioè: vi sentite un po' fiacchi e paurosi come testimoni? Bene, allora alzate le voce, gridate! Non è facile dire la verità su Dio e sull'uomo, con la stessa schiettezza con cui san Paolo dice: abbiamo «tutti» un problema – il «peccato» (Rm 5,12) – però «il dono»  di salvezza che Dio ci ha fatto è più grande e si riversa «in abbondanza su tutti» (5,15). Però il Signore sa bene che, nelle cose della vita, spesso le più grandi resistenze non sono fuori, ma dentro noi stessi. Ciò vale anche per l'annuncio del Regno. Ne ha fatto profonda e amara esperienza il profeta Geremia, uomo timido e profondo, che al tempo del declino dell'impero Assiro, non riusciva ad associarsi facilmente al coro dei buontemponi, che vivevano tranquilli pensando di avere Dio dalla loro parte. Geremia, scrutando la realtà con «il cuore e la mente» (Ger 20,12) notava come la religiosità del popolo fosse rimasta molto formale e ipocrita, come Israele non avesse imparato a convertirsi dall'infedeltà del cuore e dall'idolatria, nonostante la dura esperienza della dominazione assira. Tuttavia la situazione di apparente prosperità e tranquillità in Israele faceva apparire improbabile la predicazione funesta di Geremia. Lavoro duro quello del profeta, che deve, suo malgrado, spargere «terrore all'intorno» (20,10)! Scomodissimo avere due occhi che vedono ciò che sta per accadere, un animo che intuisce in che direzione sta andando la storia degli uomini davanti a Dio!!


...PERÒ CORTESI!

Dobbiamo fare attenzione a non diventare profeti acidi, perché la verità della nostra testimonianza si misura proprio dalla disponibilità a soffrire senza farci troppo caso, sicuri che «nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto» (Mt 10,26). Dio ci chiede di essere degli altoparlanti cortesi della sua parola, non dei megafoni che borbottano e rimproverano senza pietà chi non condivide la fede nel Vangelo. Molti toni sbagliati che i cristiani oggi assumono, nelle piccole realtà come nei grandi scenari, nascondono probabilmente la paura e la vergogna di presentarci al mondo come discepoli di Cristo e come costruttori di una civiltà fondata sull'amore trinitario. Molte volte temiamo di non poterci nemmeno confrontare con il pensiero contemporaneo, releghiamo i gesti della nostra fede nei soli luoghi sacri e protetti, e disattendiamo le strade, le piazze, le case, i luoghi di lavoro, là dove il mondo attende con una sempre più visibile ansia l'arrivo di una Buona, vera, Notizia. Il Signore ci chiede di diventare profeti cortesi e coraggiosi. Discepoli solidi, senza integralismi, pieni di rispetto per tutti. Non c'è alcun bisogno di inasprire i i conflitti, di esasperare le critiche e le contrarietà. Altrimenti diventiamo i cristiani dei divieti, anziché gli educatori di un'umanità che punta alla pienezza. Se davvero desideriamo costruire una società migliore, più evangelica, non c'è bisogno di denigrare il mondo in cui viviamo, ma semplicemente di saper vedere più in là, rispetto a quanto il mondo vede davanti a se stesso. E poi, umilmente, sapere indicare una strada di verità e di vita. Quella strada che noi per primi cerchiamo di percorrere, sostenuti dalla misericordia di Dio.

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