Martedì - VIII settimana del Tempo Ordinario

Letture: 1Pt 1,10-16 / Sal 97 / Mc 10,28-31


GRAZIA?



È difficile entrare nel regno, vivere come discepoli del Signore Gesù? Sì e no, dicevamo ieri. Ma è anche una «grazia» enorme «destinata» (1Pt 1,10) a noi dal Dio «Santo» che ci ha «chiamati» (1,15) a ricevere il dono della «salvezza» (1,10); questo sembra essere il messaggio che raccogliamo oggi dalle parole di Pietro e dagli insegnamenti del Maestro. Solitamente, anche noi cristiani, parliamo di grazia quando si realizza un avvenimento che migliora o ristabilisce improvvisamente le condizioni della nostra vita, personale o familiare. La guarigione da una malattia, il superamento di un'annosa difficoltà, un improvviso successo nel campo lavorativo, l'incontro con una bella persona, la nascita di un figlio: sono tutte occasioni nelle quali non esitiamo ad esclamare le nostra gioia e a provare una sincera gratitudine nei confronti del Signore.


San Pietro ci parla invece di un'altra grazia, esortandoci ad alzare lo sguardo del cuore verso cose preziose e misteriose, sulle quali «indagarono e scrutarono i profeti» (1,10) e «nelle quali gli angeli desiderano fissare lo sguardo» (1,12). Queste realtà misteriose si sono ormai definitivamente compiute perché riguardano «le sofferenze destinate a Cristo e le glorie che dovevano seguirle» (1,11). L'apostolo ci annuncia che Dio intende donarci una grazia dal sapore agrodolce, dove la felicità e il dolore si offrono insieme alla nostra libertà. Sta parlando della grazia di poter portare a compimento la nostra «immagine» e somiglianza con il Dio «Santo», diventando anche noi «santi» in tutta la nostra «condotta» (1,15). 


Vale la pena ricordarci che il pescatore Pietro non era stato sempre sempre così determinato. Molti anni prima di scrivere queste cose, il Vangelo lo presenta agitato e confuso di fronte all'«impossibile» (Mc 10,27) discorso di Gesù: «Signore, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito» (10,28). Non è difficile cogliere in queste parole una certa paura e un pizzico di presunzione. Pietro a nome dei discepoli di ogni tempo cerca di esibire le credenziali, un po' come aveva fatto il giovane ricco, sperando in tal modo di non doversi confrontare con la proposta del Maestro di una sequela radicalmente povera e obbediente. Possiamo scorgere anche presunzione dentro questa paura di non sentirci ancora discepoli preparati, quasi un sottile e silenzioso ricatto. Come se dicessimo: Signore, vero che sei contento di noi? Di quello che non facciamo più e di quello che stiamo facendo per te? È un sottile gioco che rinnoviamo anche nei rapporti di amicizia e di amore, nei legami fraterni e familiari.


La risposta di Gesù è splendida e liberante: «In verità vi dico: non c'è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del vangelo, che non riceva già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna» (10,29-30). Il Maestro rimbalza l'inutile osservazione, e ci spinge a chiederci se siamo contenti di seguirlo, se stiamo ricevendo già adesso la ricchezza di nuove e vere relazioni con il prossimo, insieme a difficoltà e sofferenze, in vista di una vita che non avrà mai fine. Perché al cuore del Vangelo e del cammino di fede ciò che conta non è mai cosa si è lasciato o si sta lasciando, ma quello che si sta ricevendo. Perciò la domanda diventa: c'è gioia e persecuzione nel nostro cammino? La gioia è il segno indiscutibile della presenza di Dio nella nostra anima, la conferma sicura che i nostri occhi stanno fissando «ogni speranza» (1Pt 1,13) nella sua promessa. La persecuzione dice l'autenticità della nostra sequela, perché rivela quanto la nostra vita stia diventando scomoda e provocatoria, a causa della «grazia» (1,13) del Vangelo. Una grazia che ci offre già in questa vita le primizie della fraternità universale e ci spalanca le porte della speranza ad una vita eterna. 


Commenti

Anonimo ha detto…
Il tema della Grazia in relazione alla sofferenza è uno dei tanti nodi per i quali ho differito l'esigenza di avere una risposta certa.

Se è vero che comprendo che è sin troppo facile dire di avere ricevuto una grazia quando tutto fila per il verso giusto, non posso negare quanto sia complesso riconoscerla anche in un momento di difficoltà.

Per questo mi affido a Dio nel bene e nel male (un pò come avviene nella promessa del matrimonio) con la speranza che la sofferenza di cui oggi non comprendo del tutto la ragione possa un giorno essermi spiegata nel Regno cui aspiro.

Mimmo