Lunedì - VI settimana del Tempo Ordinario

Letture: Gc 1,1-11 / Sal 118 / Mc 8,11-13


PERFETTA LETIZIA



Ancora inebriati dai profumi e dai doni della Pasqua, ci immergiamo con gratitudine e fiducia nel ritmo fecondo del tempo ordinario. L'invito immediato, esplicito e utilissimo che le Scritture ci rivolgono è quello di imparare ad avere uno sguardo illuminato e profondo su quanto la vita ci sta offrendo. Si chiama «sapienza» (Gc 1,5) questa capacità di cogliere il senso ultimo delle cose che accadono ed è uno dei doni che lo Spirito di Dio può e vuole infondere in noi. Spesso siamo sprovvisti di questo sguardo ampio e acuto e stufiamo il Signore con le nostre capricciose domande, come già prima di noi facevano i farisei: «E incominciarono a discutere con Gesù, chiedendogli un segno dal cielo, per metterlo alla prova» (Mc 8,11). Certo, la vita è difficile, talvolta incomprensibile, non di rado assurda e dolorosa. Facilmente ci scoraggiamo nell'affrontare i suoi ripidi sentieri, ci stanchiamo di cercare risposte per gli avvenimenti inattesi e tristi che accadono e con estrema ingenuità ci rifugiamo nei sogni oppure tentiamo di aggrapparci a sicurezze tanto flaccide quanto effimere. In maniera molto nascosta e devota mettiamo infine alla prova Dio che, naturalmente, è il principale responsabile della insormontabile fatica di vivere.


Ma il Signore reagisce con tono secco e deciso ai nostri subdoli tentativi di metterlo sul banco degli imputati senza un'onesta concessione di contraddittorio (che nel linguaggio religioso si chiama preghiera). Addirittura sbuffa di fronte al nostro esagerato bisogno di segni e di conferme, oltre a quelle già abbondantemente seminate nei nostri giorni, ed emettendo «un profondo sospiro» esclama: «Non sarà dato alcun segno a questa generazione» (8,12). Ci abbandona così il Maestro, oggi e tutte le volte che il nostro essere discepoli in ascolto si trasforma in un'infantile e arrogante monologo: «E, lasciatili, risalì sulla barca e si avviò all'altra sponda» (8,13). Si allontana e ci lascia soli, affinché comprendiamo che il senso della vita non è la continua verifica dei segni di amore che Dio sempre dona, ma una prova da assumere, senza paura e senza superficialità, per poter diventare figli amati e amanti, nella libertà. I giorni che trascorrono ci servono per mettere alla «prova» la nostra «fede» (Gc 1,3) in questo meraviglioso progetto e per imparare a vivere la «pazienza» che è la prima qualità dell'amore vero (cf 1Cor 13,4). Il Signore non si diverte certo a lasciarci vivere momenti di sofferta e non scelta solitudine, ma nello stesso tempo non si spaventa se in questi lunghissimi istanti ci capita di dimorare e di ricadere spesso, perché sono attraversamenti necessari per poter giungere ad essere «perfetti e integri, senza mancare di nulla» (Gc 1,4). 


Quando accettiamo di restare nei nostri vuoti per camminare e vivere nella fede, noi smettiamo di essere uomini deboli ed esitanti, simili «all'onda del mare mossa e agitata dal vento» (1,6) e diventiamo adulti capaci di spendersi «generosamente e senza rinfacciare» (1,5). Allora non stiamo più a guardare e a chiederci se siamo «di umili condizioni» (1,9) oppure se assomigliamo al «ricco» (1,10), perché impariamo a considerare «perfetta letizia» (1,2) tutte quelle «prove» che immediatamente sembrano turbare i nostri sogni e allontanare i nostri progetti di felicità. Francesco d'Assisi aveva capito bene che le umiliazioni della vita sono l'opportunità concreta per diventare autenticamente umili. Chiamava letizia perfetta le occasioni di essere trattato come l'ultimo e il «servo» (1,1) di tutti. Chiamava minori i fratelli che il Signore gli aveva donato i quali dovevano essere – come lui – più piccoli di tutto e di tutti, per non stancarsi mai di apprendere e ricevere il dono più grande che la vita ci insegna e che Dio ci concede: «l'umiltà del cuore» (salmo responsoriale).


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