Giovedì - VI settimana del Tempo Ordinario

Letture: Gc 2,1-9 / Sal 33 / Mc 8,27-33


SECONDO DIO



Lo diciamo tante volte, che Dio è al primo posto nella nostra vita. Al di là di tutte le incoerenze e le debolezze, lo desideriamo davvero. Se siamo e ci diciamo ancora cristiani, nel nostro cuore c'è un autentico amore per il Dio che Gesù ci ha raccontato con la sua vita, morte e risurrezione. Le letture che la liturgia oggi ci consegna sono una scomodissima e utile occasione per verificare se e quanto il «Signore nostro Gesù Cristo» è davvero – per noi – il «Signore della gloria» (Gc 2,1), cioè il criterio primo e ultimo delle nostre scelte, che guida i nostri passi, che è Maestro e condottiero della nostra libertà. La domanda diretta e bruciante che un giorno Gesù rivolse ai «suoi discepoli» mentre andavano «verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo» (Mc 8,27) vuole trafiggere anche il nostro cuore: «Voi chi dite che io sia?» (8,29).


Pietro, l'impulsivo e acuto pescatore, coglie subito il bersaglio: «Tu sei il Cristo» (8,29). Parole semplici e lapidare, che pongono Gesù al piano più elevato del podio, legandogli al collo una splendida medaglia d'oro. È la fede che anche noi, con umile fierezza, siamo felici di professare: «Credo in un solo Signore Gesù Cristo, Unigenito Figlio di Dio...». È bello e vero credere che Gesù è davvero il Cristo, il Messia annunciato dai profeti e promesso dal Dio d'Israele. È già un'adesione meravigliosa alla rivelazione di Dio, suscitata e accompagnata dalla forza del suo Spirito. Infatti sappiamo che «nessuno può dire: 'Gesù è Signore' se non sotto l'azione dello Spirito Santo» (1Cor 12,3). Tuttavia è una fede parziale, che corre il grave rischio di proseguire il suo corso «secondo» il pensiero degli «uomini» e non «secondo» quello di «Dio» (8,33). Quando ciò avviene si determina una pericolosa inversione di ruoli perché Dio finisce semplicemente dietro a noi. Secondo a noi.


Pietro impiega appena una manciata di secondi per passare dal «secondo Dio» al 'Dio secondo', quando non accetta che Dio abbia scelto «i poveri nel mondo» (Gc 2,5) e abbia voluto identificarsi «apertamente» (Mc 8,32) con loro: «E cominciò a insegnar loro che il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere» (8,31). Pietro rifiuta questo orizzonte cristologico, perché non condivide una strategia che sceglie di non evitare lo scandalo della sofferenza e della sconfitta. È felice di proclamare il il primo posto del Signore nella sua vita, ma non è disposto a pagarne tutte le conseguenze, rimanendo discepolo, secondo a Dio.


L'apostolo Giacomo, con tono perentorio, ci fa capire quanto sia facile mescolare l'amore e la fede per il Signore Gesù con criteri che poco o nulla hanno a che fare con il suo santo Vangelo: «non mescolate a favoritismi personali la vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo» (Gc 2,1). Illustra poi il concetto con un esempio: «Supponiamo che...» (2,2), citando una situazione concreta che potrebbe avere molte conferme nel nostro vissuto quotidiano. Infine conclude: «Non fate in voi stessi preferenze e non siete giudici dai giudizi perversi?» (2,4); «Dio non ha forse scelto i poveri nel mondo per farli ricchi con la fede ed eredi del regno che ha promesso a quelli che lo amano?» (2,5). Conviene riconoscere che non ci siamo ancora convertiti al Vangelo della povertà e della croce, perché molte volte precediamo, anziché seguire il Maestro. Dio è secondo ai nostri desideri e quindi non possiamo abbracciare quel «povero» che incontriamo, che vive accanto a noi, che vive dentro di noi. Perché abbiamo dimenticato il nucleo essenziale del Vangelo: Dio «ascolta il povero» e «lo libera da tutte le sue angosce» (salmo responsoriale). Non viviamo secondo Dio e perciò facciamo ancora molte «distinzione di persone». Questo rimane il nostro «peccato» (2,9)!

Commenti

Unknown ha detto…
Il discepolo è sempre esposto al pericolo di interpretare il Mistero secondo la logica degli uomini, cioè di attribuire a Gesù una “divinità” che non viene da Dio. Si può infatti confessare che Gesù è Dio e tuttavia non accorgersi che è un Dio diverso. Riporto qui di seguito due brani tratti da “L’idiozia” di Silvano Fausti, in cui mi pare che questo tema venga trattato con grande efficacia.

«Un Dio crocifisso ci salva innanzi tutto da dio. Dal dio tremendo che risponde alla violenza con la violenza, che ha a disposizione tutto e tutti, ma non è disponibile a niente e per nessuno, capace di salvare se stesso e dannare gli altri. Noi immaginiamo un dio che realizza le nostre brame di avere, di potere e di apparire: è la proiezione dei nostri desideri distruttivi. Se ci fosse, come affermano le persone religiose, un tale dio non sarebbe che il sommo male. Per questo va negato, come affermano gli atei.
La croce invece mostra un Dio – l’unico vero Dio, del quale non c’è altra immagine adeguata, perché è per noi la più blasfema! – che si mette nelle mani di tutti e serve tutti in mitezza e umiltà,
un Dio che dona tutto, anche la propria vita a noi che gliela togliamo!
Il “serpente innalzato” ci guarisce dal veleno del serpente (Cfr. Gv 3,14s.; Nm 21,4-9): il Crocifisso ci salva dall’imago dei, che da Adamo in poi è patrimonio di ogni uomo.
La croce sdemonizza Dio, togliendogli la maschera satanica, comune a chi lo prega e a chi lo bestemmia. Ci salva da un Dio che non com-patisce il nostro male, o è indifferente, o ne è addirittura la causa prima. Ci salva da un dio sadico che ci ha gettati in un’esistenza breve, con la coscienza della morte, e in più, per torturarci meglio, con il desiderio di eternità – un dio che ci avrebbe fornito come unico motivo di vivere la paura di morire che ci fa sbagliare tutto e infine, con soddisfazione somma, ci infliggerebbe una punizione eterna per i nostri errori.
Adamo fuggì da lui perché, catechizzato dal serpente (ha buoni imitatori!), lo supponeva così. Uno che pensa così del principio e fine della propria vita, non può che nascondersi da lui.
La re-ligione, che con la legge lega e ri-lega l’uomo, fino a imbalsamarlo mentre è ancora in vita, si fonda su un qualche sacrificio dell’uomo a dio – dal sacrificio del primogenito, sostituito dall’ostia o vittima (= nemico vinto e legato), alle altre forme sacrificali. Chi è questo Dio che si sacrifica per l’uomo? Il religioso non può che arricciare il naso! E giustamente! Segna la fine di ogni schiavitù e ribellione dell’uomo, e l’inizio della libertà di chi si sa amato e sa amare. Un Dio crocifisso ci salva dal dio che la religione afferma e che l’ateismo nega». (pp. 58-59)

«Paolo scopre la croce come la grande rivelazione di Dio, ed esclama con entusiasmo: “Io ritenni, infatti, di non sapere altro in mezzo a voi, se non Gesù Cristo, e questi crocifisso” (1 Cor 2,2).
“Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete Io-Sono” (Gv 8,28). Io-Sono, Jhwh, è conosciuto in Gesù innalzato sulla croce: dall’alto di essa Dio si esprime totalmente e si notifica al mondo. Solamente lì si può conoscere Dio nel Figlio (Cfr. Mc 15,39) [...]. Il Crocifisso è l’epifania “idiota” di Dio, il manifestarsi a noi della sua sublime altezza». (pp. 39-40)