V Domenica di Pasqua – Anno A

Letture: At 6,1-7 / Sal 32 / 1Pt 2,4-9 / Gv 14,1-12


QUESTIONE DI VIA



La risurrezione del «Salvatore» Gesù è la «vera libertà» e «l'eredità eterna» che il «Padre» desidera   donare a tutti i suoi «figli di adozione» attraverso l'azione invisibile ed efficace dello «Spirito Santo» (colletta). Eppure i racconti evangelici di risurrezione che abbiamo ascoltato in queste prime domeniche del tempo di Pasqua ci hanno sufficientemente convinto di quanto sia difficile per noi discepoli trovare uno spazio per accogliere il regalo di Dio. Per questo la Chiesa, a metà del tempo di Pasqua, riavvolge il nastro del Vangelo e riascolta le parole con cui Gesù ha parlato ai suoi discepoli del significato della sua passione e risurrezione, prima che la tristezza avvolgesse definitivamente i loro cuori. Domenica scorsa abbiamo contemplato il mistero pasquale come l'apparire di una utilissima porta che ci vuole introdurre fuori dalla paura, dentro la libertà «dei figli di Dio» (Rm 8,21). Ma dopo la porta cosa ci aspetta?


La strada...

...naturalmente! Con questa immagine il Maestro Gesù ha scelto di congedarsi dai suoi discepoli, mentre il loro cuore era profondamente «turbato» (Gv 14,1) per la sua imminente partenza verso la «casa del Padre» (14,2). Con un'eccessiva fiducia nei nostri confronti Gesù non esita a proclamare: «Del luogo dove io vado, conoscete la via» (14,4). Ma come? «Non sappiamo dove vai», esclamiamo insieme a Tommaso, «e come possiamo conoscere la via?» (14,5). Il maestro, imperturbabile, risponde: «Io sono la via, la verità e la vita» (14,6).


Il Signore risorto ci ha lasciato una via: se stesso, da conoscere, imitare, seguire. Ecco il motivo e la conseguenza della sua Pasqua. Dio si è fatto uomo, come noi. Come noi ha vissuto, amato, sofferto. Esattamente come noi è, infine, tornato nella terra; morto, definitivamente morto. Poi, però, è risuscitato per rivelarci che non è la morte la «verità» ultima sulla nostra «vita» (14,6). Ora tocca a noi. Sebbene molte cose ci facciano ancora paura e un'infinità di tenebre trovi posto dentro di noi, il Signore è assolutamente convinto che ce la possiamo fare a camminare verso il Padre, come figli. Soprattutto che non ci servano troppe indicazione, perché conosciamo la strada da percorrere. Infatti la strada, quando è buona, ti prende e ti porta con sé fino alla destinazione. Come certi sentieri di montagna, che non sai quanto ardui si riveleranno e quanto tempo ci vorrà per calcarli fino alla fine con i nostri passi. Però poi ti ripagano di ogni sforzo, perché autentici.


Gesù è la via percorribile da ogni uomo perché come ogni strada accoglie ogni genere di passo: quello arzillo e quello stanco, quello baldanzoso e quello esitante. Il Vangelo è una via, un percorso, che solo progressivamente ci introduce nella nostra «verità» che è la «vita» di amore che Dio ha preparato per noi. È questo il cuore dell'esperienza cristiana: la vita come rapporto di fiducia con un Dio Padre, che attraverso la guida premurosa e rispettosa dello Spirito Santo costruisce la nostra umanità secondo l'immagine del Figlio, che si è fatto uomo ed è venuto ad abitare in mezzo a noi.


Il sacerdozio

San Pietro dice la stessa cosa ricorrendo ad un'altra immagine: «Voi siete stirpe eletta sacerdozio regale» (1Pt 2,9). I cristiani, in forza del loro battesimo, sono tutti sacerdoti, cioè mediatori e costruttori di una nuova umanità. La funzione del sacerdote, in ogni religione, è quella di assicurare un collegamento tra il cielo e la terra. Ora che questo legame si è realizzato pienamente e definitivamente nell'umanità sacra di Gesù il Rabbì di Nazaret, tutti coloro che si uniscono a lui diventano partecipi di un vero sacerdozio, cioè collaborano alla costruzione di un «edificio spirituale» (2,5): la chiesa, il regno di Dio, la fraternità umana universale. Questo meraviglioso aspetto della nostra fede è probabilmente un tesoro da riscoprire con coraggio e creatività. Viviamo un cristianesimo ancora molto confinato nelle sacrestie e nelle parrocchie, poco capace di far entrare il fermento del Vangelo nelle realtà terrene, dove gli uomini attendono il suono di una Buona Notizia. Esiste ancora troppa scissione tra le parole e i gesti che facciamo quando ci raduniamo insieme, ad esempio la domenica, e il resto della nostra vita, che non riesce ad essere trasparenza del Risorto, manifestazione della sua parola di salvezza e di libertà. Che forse non stiamo, sufficientemente, vivendo il nostro Battesimo come una «via», in modo adulto e libero? Che magari ci sta capitando di fare fatica a credere di aver ormai visto «il Padre» e che questi «ci basta» (Gv 14,8)? Che potremmo esserci persi nelle troppe cose da fare e da rispettare, dimenticando che «non è giusto» lasciare «da parte la parola di Dio» (At 6,2), ma continuare a dedicarsi «alla preghiera» (6,4) con coraggiosa fedeltà?


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