Martedì - III settimana di Pasqua

Letture: At 7,1-8,1 / Sal 30 / Gv 6,30-35


CON-TEMPLAZIONE



Per convertirci alla Pasqua di risurrezione dobbiamo diventare capaci di contemplare, cioè di accedere ad una visione della realtà illuminata dalla parola del Vangelo e infiammata dall'ardore dello Spirito Santo versato nei nostri cuori.


Contemplare è quanto riesce a fare il coraggioso diacono Stefano, proprio nel momento in cui la sua storia assume l'indiscutibile sapore di una dolorosa passione: «Ecco, io contempo i cieli aperti e il Figlio dell'uomo che sta alla destra di Dio» (At 7,56). Ma è anche ciò che il Signore Gesù propone con coraggio ai suoi distratti seguaci i quali, dopo aver partecipato ad una miracolosa mensa, sono ancora alla ricerca di motivi per affidarsi: «Quale segno dunque tu fai perché vediamo e possiamo crederti?» (Gv 6,30).


Con la parola contemplazione ci riferiamo, nell'ambito della fede e della spiritualità cristiana, non tanto ad un'esperienza misteriosa e indicibile di incontro con il Dio invisibile. Più semplicemente e più profondamente, con il termine contemplazione indichiamo la capacità di riconoscere i misteriosi legami che uniscono le vicende del mondo, nelle quali siamo immersi, al mistero della morte e risurrezione del Signore Gesù. Essere contemplativi significa allora avere la capacità di guardare in profondità le cose fino ad aprire la nostra storia concreta a quelle storia eterna che noi cristiani identifichiamo volentieri con la vita divina o trinitaria.


Le Scritture di oggi suggeriscono alcune indicazioni di fondo per tendere ad un'esperienza di fede capace di contemplazione. La prima indicazione potrebbe essere quella di non rinchiuderci nel passato, perché ciò equivale ad opporre «resistenza allo Spirito Santo» (At 7,51) che sempre opera nel presente, ed è un atteggiamento che può anche farci diventare «gente testarda e pagana nel cuore e nelle orecchie» (7,51). Con estrema facilità e pericolosa ingenuità leghiamo il nostro cuore alle cose che sono successe, e magari non avvengono più, senza riuscire a scorgere nel tempo presente l'azione efficace e buona del Dio vivente. Sembra essere proprio questo il nostalgico velo che ottenebra lo sguardo dei Giudei, dopo il segno dei pani: «I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo» (Gv 6,31). Invece Dio interviene sempre anche se in modi diversi nella nostra vita: «In verità, in verità vi dico: non Mosè vi ha dato il pane del cielo, ma il Padre mio vi dà il pane del cielo, quello vero» (6,32). Il secondo invito è la capacità di passare dalla gioia per i segni, che ci fa esclamare: «Signore, dacci sempre questo pane!» (6,34), alla comprensione del segno che ci apre ad una relazione con Dio che non si appiattisce sui modi e i tempi della sua presenza nella nostra vita.


Solo attraverso un'esperienza di contemplazione dell'amore di Dio che la Pasqua ci ha rivelato possiamo compiere scelte di perdono, che testimoniano ed esprimono la verità del nostro battesimo nella vita e nella morte di Cristo: «'Signore, non imputare loro questo peccato!'. Detto questo, (Stefano) morì» (At 7,60).


Commenti

Unknown ha detto…
Gioisco per i segni che il Signore mi dà attraverso gli occhi di chi mi guarda con gratitudine per un piccolo gesto fatto, attraverso la parola di conforto e lo sguardo benevolo di chi mi accoglie in un gruppo.
Ringrazio il Signore per questo dono e prego perchè mi dia, dia a tutti, sempre, la capacità di meravigliarsi per le più piccole cose che vediamo, che sentiamo...