III Domenica di Pasqua – Anno A

Letture: At 2,14.22-33 / Sal 15 / 1Pt 1,17-21 / Lc 24,13-35


QUESTIONE DI DIREZIONE



Pellegrini

Nasciamo e moriamo in questo mondo, ma il nostro destino è altrove. Viviamo «quaggiù come stranieri» scrive San Pietro, perciò dobbiamo vivere con un'estrema attenzione alla realtà, ma anche con un sincero «timore di Dio» (1Pt 1,17) e del mistero a cui ci ha liberamente invitato. Se ci dimentichiamo che la destinazione del viaggio è il «Padre» (1,17) che è nei cieli, tutto diventa enormemente difficile e insostenibile dal momento che la felicità, solo per brevi periodi e non per tutti, riesce ad abitare i giorni della nostra vita. Siamo pellegrini e non possiamo che camminare, ma qualche volta lo facciamo nella direzione sbagliata, come quei due discepoli che «erano in cammino» (Lc 24,13) il giorno di Pasqua «col volto triste» (24,17) e il cuore pieno di delusione. Non mancano mai i motivi di delusione per ciò che poteva essere e invece non è stato, per ciò che potrebbe essere e, purtroppo, ancora non è. Intanto si chiacchiera e si borbotta: «E conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto» (23,14)


Pellegrino

Il Signore Gesù, ormai liberato «dai dolori della morte» (At 2,24), si avvicina ai due scoraggiati viandanti e «camminava con loro» (24,15). In questo modo il Risorto inizia a stabilire un contatto con noi dopo la sua Pasqua: mettendo la sua nuova vita con estrema attenzione e delicatezza accanto alla nostra, adeguando la velocità della sua gioia alla lentezza dei nostri passi tristi. I due discepoli non si accorgono che Gesù è accanto a loro, «i loro occhi erano impediti a riconoscerlo» (24,16) perché i loro cuori erano «sconvolti» (24,22) dalla paura e dal dolore. Cammina con noi il Risorto; fa la nostra strada. Senza giudizi né rimproveri, anzi cercando accoglienza nei sentieri interrotti della nostra vita: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?» (24,17). Uno dei due, Clèopa, butta fuori il rospo: «Solo tu sei forestiero a Geruselemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni!» (24,18). Quante volte, chiusi nel nostro dolore, crediamo di essere il centro sfortunato della storia! Non sappiamo guardare al di là del nostro sconforto, ignorando quanto il mistero della sofferenza sia partecipato da tutti. Soprattutto da Dio. Il Signore Gesù, appena quarantott'ore dopo aver vissuto la sua terribile passione, risponde candidamente con una sconcertante domanda: «Che cosa?» (24,19). Dio non si ricorda «del male ricevuto», non ne «tiene conto» (1Cor 13,5), perché è amore e perdono. Riuscissimo anche noi a mettere da parte le onde della sofferenza che agitano il nostro cuore!


Buone e cattive notizie

Davanti a questo cortese interessamento di Gesù, i due discepoli hanno l'occasione di sfogarsi. La loro cronaca è perfetta, completa, dettagliata. Ma è un necrologio senza alcuna speranza: «Noi speravamo...» (24,21). Sono così anche tanti nostri discorsi, tante parole che facciamo o che ci diciamo per cercare di interpretare quanto ci accade: una cronaca senza vangelo, una cattiva notizia, molto simile a quelle con cui amiamo riempire le pagine dei giornali e i servizi sensazionali in televisione. Gesù ascolta, con pazienza e amore, perché il dolore non se ne va finché qualcuno non lo prende con sé. Poi però impedisce ai discepoli di rimanervi attaccati, con un deciso rimprovero: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?» (24,26). È difficile strappare via il dolore dal cuore di un altro. Me ne accorgo tutti i giorni, incontrando e ascoltando tante persone. Ci sono depressioni e sofferenze talmente radicate nel misterioso tessuto dell'esistenza, che a volte cercare di rimuoverle è come tentare di sradicare un albero con due mani. Scelte sbagliate, male ricevuto, incidenti accaduti, occasioni mancate: in infiniti modi la delusione entra nel nostro cuore e lo svuota di speranza. Gesù però ha una speciale autorità in questo ambito, perché ha sofferto per amore. Davanti al male non ha scelto la fuga ma ha offerto la vita, certo che l'avrebbe ricevuta indietro. Per questo è diventato «causa di salvezza eterna» (Eb 5,9) per ogni persona che vive e soffre sotto il cielo. La sua voce è ormai libera di spiegare il vangelo della croce, dicendo che la croce è già buona notizia, perché Dio l'ha riempita del suo amore infinito, che la sofferenza presente nella vita non è il limite ultimo, ma è la definitiva occasione di incontrare una grazia che «vale più della vita» (Sal 62,4). Il Signore prende in mano le Scritture e spiega che sin da principio esse si riferivano «a lui» (24,27), che «bisognava» (24,26) che le cose andassero così; era necessario per noi e per lui! Era necessario perché il male c'è nel mondo e rimane finché qualcuno non lo toglie! Era necessario perché anche il bene c'è, ed è più forte del male, lo sconfigge! Bisognava che noi sapessimo che Dio è disposto a fare pazzie per noi, ad offrire non «cose effimere, come argento e oro» (1Pt 1,18), ma il «sangue prezioso di Cristo» (1,19), il suo unico e amato Figlio.


Inversione a U

Mentre Gesù dice queste cose, il cuore dei discepoli arde di speranza. Allora lo pregano di non andare via: «Resta con noi» (Lc 24,29). Così accade ogni volta che celebriamo l'eucaristia: prima la Parola riaccende in noi la fede, poi la frazione del Pane pone anche i nostri occhi in comunione col Signore risorto: «Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero» (24,31). A questo punto Gesù scompare e ci lascia soli e pieni di speranza. Abbiamo visto quanto serviva al nostro cuore per risorgere e convertirsi alla logica della croce. Non ci resta che tornare indietro, fare inversione e smettere di fuggire dalla nostra vita: «Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme» (24,33). Proprio là dove sembrava non esserci più speranza ci possiamo infatti essere noi, che attraverso la comunione col Signore risorto, diventiamo pane di amicizia e perdono per i fratelli con cui condividiamo il pellegrinaggio della vita.


Commenti

Anonimo ha detto…
Il brano Evangelico di Luca ci presenta due discepoli che da Gerusalemme vanno verso Emmaus, tornano a casa.
Di uno si conosce il nome, Cleopa
e dell'altro no!
Sicuramente non è stata una dimenticanza dell'evangelista Luca ma volutamente non specificata; perchè "l'altro" siamo noi ciascuno di noi.

Tante delusioni, tristezza, sfiducia, incomprensioni, amarezza...affliggono la mia vita.
Quante volte Gesù, sotto le sembianze di un viandante ti sei accostato a me, mi hai parlato, mi hai ascoltato mi hai spiegato...
e io non ti ho riconosciuto.
Tu sei risorto! Cammini con me!
Aiutami Gesù a saperti riconoscere in ogni persona che mi metti accanto nel mio pellegrinare.

Anastasio Ballestrero in una sua
preghiera dice:

La nostra vita, come quella dei discepoli di Emmaus,
è un cammino pieno di nostalgia di te, Signore Gesù.
Anche per noi c'è il compagno di viaggio, il pellegrino sconosciuto che ci cammina accanto ogni giorno.
Sei tu, Gesù: tu che resti sempre fedele dinanzi ai nostri occhi spenti...
Tu che rimani presente nelle tenebre della tristezza e dello sconforto che avvolgono il mondo.
Sei risorto per non abbandonarci mai!
E quando la notte cade nel nostro andare, tu ti fai familiare, ci sei vicino nella paura e ci vivifichi con la tua risurrezione;
tu appari anche a noi, ogni giorno, allo spezzare del pane.
Noi pure, ogni giorno, nel mistero
dell'Eucarestia ti riconosciamo,
ti incontriamo all'altare.
Il Pane che tu sei,
apre i nostri occhi,
accende il nostro cuore,
mette nella nostra vita il suo tesoro: la vita di Dio.