Lunedì della Settimana Santa - Tempo di Quaresima

Letture: Is 42,1-7 / Sal 26 / Gv 12,1-11


SENZA CALCOLARE



Ascoltando il Vangelo di oggi, «tutta la casa» del nostro cuore si riempie di «profumo» (Gv 12,3). Il profumo è il segno dell'impalpabile solidità dell'amore, il simbolo splendido della carità di Dio che si dona alla nostra libertà. Di fronte ad esso possiamo lasciarci ungere e profumare, oppure reagire con ostilità, disprezzando e fuggendo. Infatti il profumo si offre come realtà apparentemente accessoria, non indispensabile. Ma questo è solo la sua delicata discrezione, il suo fine rispetto che non invade, ma mira ad avvolgere e rallegrare.


Nei tre giorni che precedono il sacro Triduo la riflessione della liturgia si concentra sulla tragica esperienza del tradimento che Giuda, in rappresentanza della nostra «umanità sfinita per la sua debolezza mortale» (colletta), consumò fino in fondo, come un calice di cui conobbe l'amarissima feccia. Il Vangelo ci annuncia che il tradimento è, in fondo, la nostra reazione rabbiosa e cieca alla realtà dell'amore divino che come profumo desidera versarsi nella cisterna arida del nostro cuore. Ciascuno ha una sua personale esperienza di tradimento, attiva o passiva. Tradire significa non rispettare l'altro come dono e come diversità rispetto ai nostri bisogni, falsi o autentici che siano. Il tradimento scaturisce sempre da un cuore che cerca di possedere, da una mano che tenta di rubare; furto e tradimento sono in eterna alleanza.


Giuda tradisce il Signore Gesù perché non è riuscito a «lasciare» (cf 12,7) cadere la logica violenta che anima il suo desiderio di cambiamento, la bramosia di possedere presto i frutti di una vita diversa. Per questo non riconosce in Gesù «il servo» e «l'eletto» (Is 42,1) che Dio sostiene e nel quale si compiace. Appare ai suoi occhi troppo debole e inutile un Cristo che, come egli ormai immagina, «non griderà né alzerà il tono» (42,2), che «non spezzerà una canna incrinata» (42,3). Giuda ha visto Gesù fare segni grandi: aprire «gli occhi ai ciechi», far uscire «dal carcere i prigionieri, dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre» (42,7). Come l'amico Lazzaro, appena sciolto e sollevato dalle angosce della morte.


Eppure, quando Maria, colma di riconoscenza e di dolore per l'imminente dipartita di Gesù effonde su di lui tutto il suo amore riconoscente, una voce di ribellione esce dal petto corazzato di Giuda: «Perché?» (Gv 12,5). Giuda rimbalza, non entra nell'icona che ha davanti. Una donna e il suo Signore stanno consumando attraverso un gesto delicatissimo la gioia e il dolore di un saluto estremo. Si abbracciano nei lembi: capelli e piedi, in un profumato e ultimo intreccio. Ma tutto ciò non è nulla agli occhi di chi, da troppo tempo, si è abituato a «prendere» (cf 12,6) e non a dare.


«Lascia» (12,7) dice Gesù a Giuda. Smettila! Resta a guardare, contempla l'amore. Contempla senza calcolare e «vedrai la gloria di Dio» (11,40) e gusterai «la dolcezza del suo perdono» (colletta).


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