IV Domenica - Tempo di Quaresima – Anno A

Letture: 1Sam 16,1b.4.6-7.10-13 / Sal 22 / Ef 5,8-14 / Gv 9,1-41


QUESTIONE DI OCCHI



La domenica del cieco nato, a cui il Signore Gesù dona la vista, ci dice che la conversione è una questione di occhi. Ci sono diversi modi di vedere la realtà, alcuni più veri e profondi, altri più colpevoli e superficiali. Ci sono diversi occhi con i quali possiamo leggere e interpretare le cose che ci circondano. Gli occhi non sono mai neutri, ma una influente soglia che mette in comunicazione il nostro mondo interiore con quello esteriore. Il Vangelo di oggi ci parla di tanti occhi, molto diversi tra loro, che rivelano il timbro di altrettanti cuori con i quali ogni giorno ci mostriamo gli uni agli altri.


Occhi che non vedono

Ci sono gli occhi dell'uomo che non vede «dalla nascita» (Gv 9,1). Sono gli occhi che non conoscono la gioia della luce e la libertà del movimento in pieno giorno. Non vedere significa non conoscere, poter solo immaginare e intuire, senza mai entrare nella visione che fa gustare il sapore e il significato della realtà. Tutti eravamo «tenebra» (Ef 5,8) prima di nascere, privi della luce della vita. Tutti eravamo ciechi prima di conoscere il volto tenerissimo del Dio di Gesù. Con il battesimo e la fede nel Vangelo siamo diventati «luce nel Signore» (5,8) aprendo la porta della nostra vita ad «ogni bontà, giustizia e verità» (5,9). Ciò nonostante possiamo ancora partecipare «alle opere delle tenebre» (5,11), perché non siamo ancora del tutto svegli. Non conosciamo l'amore infinito che ha cominciato ad illuminare il nostro volto e i nostri occhi. Non conosciamo la potenza del sorriso di Dio che può riscattare ogni male o ogni ombra della nostra umanità in cammino. Quante persone nel mondo brancolano nel buio! Quanti fratelli e sorelle da tanto, da sempre, non hanno pace e vivono inquieti nel fondo di una sofferenza, nella tristezza di una solitudine infinita, nel peso assurdo di una malattia che non se ne andrà!


Occhi che amano

Gesù passa e i suoi occhi vedono l'uomo avvolto dalle tenebre. Prova compassione, si ferma, getta ancora amore e terra «sugli occhi del cieco» (Gv 9,6) e «si lavò e tornò che ci vedeva» (9,7). Scrive Giovanni: «Dio è luce in lui non ci sono tenebre» (1Gv 1,5), in lui è «la vita» e la vita è «la luce degli uomini» (Gv 1,4). Sebbene la storia ci mostri molti segni che sollevano paure e perplessità nel nostro cuore, Dio è vita e luce che si comunica con generosità. Oh, quante persone anche oggi sono state tratte dalle tenebre alla luce dalla bontà di Dio! Quanti bambini sono nati! Quanti amori sono sbocciati! Quanti gesti di misericordia e di giustizia sono stati compiuti sotto il sole! Quanti occhi hanno donato e ricevuto amore! Piccoli avvenimenti quotidiani, che non fanno rumore, eppure sono la vita reale del mondo. Quella vita silenziosa e umile che non trova spazio nei rissosi e rumorosi rotocalchi televisivi, neppure nelle pagine fitte di colori e di caratteri dei nostri giornali, dove l'informazione è spesso ridotta a superficiale chiacchiera.


Occhi che sospettano

I discepoli sono ancora convinti che i guai della vita siano il castigo di Dio per i peccatori: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?» (Gv 9,2). Gli occhi dei discepoli hanno cominciato a vedere nel Cristo «l'immagine del Dio invisibile» (Col 1,15), hanno iniziato a credere nella vicinanza di un Dio fatto uomo, ma sospettano ancora che il suo amore abbia dei limiti. Anche noi, discepoli dell'ultima ora, viviamo una fede intrisa di sospetti e agitata da mille fantasmi. Confessiamo con la voce le parole grandi e vere con cui la chiesa acclama il suo Signore, ma custodiamo nel cuore le obiezioni e i risentimenti, le ferite e le delusioni che ci impediscono di cogliere nella realtà l'imminente realizzazione delle «opere di Dio» (Gv 9,3).


Occhi che si distraggono

Dopo il miracolo «i vicini e quelli che avevano visto prima» (9,8) il cieco sono confusi, non sanno cosa pensare. I loro occhi si sono posati tante volte sull'uomo che non vedeva al punto da essersi abituati della sua presenza-assenza, al punto da non vederlo nemmeno più. L'indifferenza è una variante disimpegnata dello sguardo sospettoso, molto diffusa e praticata nella nostra società. Ci consoliamo dicendo che non possiamo certo prestare attenzione a tutto ciò che ci circonda, però amiamo terribilmente illuderci che tutto possa girare attorno a noi!


Occhi che hanno paura

I genitori «di colui che aveva ricuperato la vista» (9,18) vengono interrogati dai Giudei, ma non rispondono: «Come poi ora ci veda, non lo sappiamo, né sappiamo chi gli ha aperto gli occhi; chiedetelo a lui, ha l'età» (9,21). Quante volte ci chiudiamo gli occhi di fronte all'evidenza, pur di non rinunciare a noi stessi e alla nostra tranquillità! Quante volte decidiamo di non esporci nelle discussioni, nelle valutazioni e nei giudizi! Quante volte non affermiamo con chiarezza e mitezza i valori in cui crediamo, affinché le scelte della nostra famiglia, della nostra comunità siano ispirate alla giustizia e alla verità! I nostri occhi spesso hanno ancora paura. Tanta paura di essere giudicati o abbandonati!


Occhi che giudicano

Non hanno alcun timore a giudicare invece gli occhi di chi detiene il potere religioso: «Noi sapiamo che quest'uomo è un peccatore» (Gv 9,25), perché «non osserva il sabato» (9,16). Non basta la luce per illuminare la tenebra. Serve la disponibilità del nostro cuore ad aprire la porta, arrendendosi ai segni inequivocabili che Dio pone sul nostro cammino. I Giudei scelgono di non vedere l'irruzione della «gloria» (9,24) di Dio, perché giudicano a partire dai loro capziosi e rigidi parametri religiosi. Ogni volta che ci comportiamo come loro, l'orizzonte si chiude all'improvviso, le palpebre si abbassano e noi torniamo nelle tenebre, ricominciando a compiere «le cose apertamente condannate» (Ef 5,13) dalla luce di Dio.


Occhi che si aprono

Dopo aver acquistato la capacità di vedere, il cieco riceve l'ultima illuminazione, quella della fede: «Credo, Signore!» (Gv 9,38). Non sapeva chi fosse, né da dove venisse l'autore della vita ritrovata, ma alla fine giunge a riconoscere nell'«uomo» (9,11) Gesù il «profeta» (9,17) atteso che viene «da Dio» (9,33), il «Figlio dell'uomo» (9,35) e il «Signore» (9,36) della vita. L'itinerario battesimale ci fa diventare nuove creature perché ci introduce nella visione e nella comprensione dell'amore infinito di Dio.


Occhi che si interrogano

«Alcuni dei farisei» (9,40) alla fine interrogano Gesù: «Siamo forse ciechi anche noi?» (9,40). Interrogano il Maestro, forse intuendo il suo giudizio che non vuole ma può diventare condanna per «quelli che vedono» (9,39). La risposta del Signore è laconica: «Se foste ciechi non avreste alcun peccato; ma siccome dite: 'Noi vediamo', il vostro peccato rimane» (9,41). Ci sono occhi che interrogano, ma non si interrogano. Rinunciamo a questi occhi, restiamo in conversione! Attendiamo la luce e la voce di Dio che in questa nuova Pasqua viene a salvarci: «Svegliati, tu che dormi, risorgi dai morti e Cristo ti illuminerà» (Ef 5,14).

Commenti

Anonimo ha detto…
Quanto sono miopi questi Giudei, e quanto sono duri di cuore!
Tutto ciò che riescono a vedere è ciò che gli altri fanno di non buono...
Quante volte anche noi, "cattolici per bene, siamo miopi e duri di cuore, legati ad una fede il cui cuore non ci ha ancora toccati.

Guardando la mia vita mi rendo conto che solo quando ho fatto realmente esperienza della "misericordia di Dio" accettando la sua proposta di guarigione, ho cominciato a guardare l'altro come una persona toccata anch'essa da un Dio che si fa, per tutti, vera acqua sanante.
Si, solo l'esperienza personale della misericordia di Dio, cuore della fede cristiana, può insegnare ai "nuovi Giudei", gli uomini e le donne di tutti i tempi,
che l'essere umano può cambiare se lo desidera e se si lascia toccare
dalla mano di un Dio che non smette di farsi vicino.