Giovedì fra l'ottava di Pasqua

Letture: At 3,11-26 / Sal 8 / Lc 24,35-48


CON-SOLAZIONE



È iniziato il tempo di Pasqua, uno spazio di gioia e di felicità nel quale siamo chiamati ad assimilare il mistero della morte e risurrezione del Signore, lasciandoci ammaestrare dalla guida dello Spirito Santo. I Santi Padri lo definivano laetissimum spatium (Tertulliano), perché in esso i neofiti, giunti al battesimo nella Veglia pasquale, erano introdotti nelle profondità della grazia ricevuta attraverso le magnifiche catechesi mistagogiche.


Pur essendo distanti dal clima appassionato e intenso di quei primi secoli dell’epoca cristiana, anche noi in questi giorni riceviamo dalla liturgia l’invito ad operare una conversione per certi versi più difficile di quella cercata nel tempo di quaresima. In quei quaranta giorni di preparazione spirituale abbiamo provato a convertirci alla verità di noi stessi, riconoscendoci davanti al Crocifisso peccatori bisognosi di salvezza. Adesso è il tempo di intraprendere la più difficile delle conversioni, quella alla gioia e alla vita risorta di Dio. Tutti i racconti della apparizioni di Gesù dopo la sua risurrezione testimoniano la delicata prudenza con cui il Signore mostra ai suoi amici il suo sorriso e, nel contempo, l’estrema fatica con cui i discepoli escono dal senso di colpa e dalla paura per diventare testimoni coraggiosi della sua risurrezione. Prima di entrare nella gioia pasquale, coloro che hanno cercato di seguire il Maestro Gesù devono superare il sospetto che egli sia solo «un fantasma» (Lc 24,37). L’evento tragico della morte in croce aveva infatti spogliato il loro cuore di ogni speranza e lo aveva riempito di tristezza e delusione. I discepoli sono ricurvi su se stessi e il dolore per non aver saputo morire con il Maestro rimbomba nella loro coscienza: «Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù, che voi avete consegnato e rinnegato di fronte a Pilato» (At 3,13).


La gioia del Signore risorto però non si intimorisce di fronte al pesante imbarazzo che lascia i discepoli ancora «stupiti e spaventati» (Lc 24,37), «turbati» e pieni di «dubbi» (24,38). La nostra difficoltà a credere nel mistero della risurrezione è del tutto simile alla loro. Laddove il tempo di Pasqua aspira ad inserirci in una comunione profonda con il Signore della vita, noi rischiamo di restare imbambolati a contemplare i segni di morte ancora presenti nel nostro cuore e nella nostra storia. Non riusciamo ad alzare lo sguardo verso un orizzonte di speranza. La Risurrezione del Signore è un avvenimento che vorrebbe cambiare per sempre la nostra vita, ma è una «gioia» così «grande» (24,41) che fatichiamo a credere e a vivere. Questo è il più serio ostacolo al nostro cammino di fede, che spinge Gesù a dover stabilire un rapporto con noi attraverso il gesto caldo e semplice della convivialità: «Avete qui qualche cosa da mangiare?» (24,41). Quando le acque si sono calmate e il clima è diventato favorevole al dialogo, il Maestro ricomincia ad insegnare: «Allora aprì loro la mente all'intelligenza delle Scritture» (24,45) e istruisce i suoi discepoli riguardo a tutte le cose che «nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi» (24,46). Dopo aver offerto ai discepoli il dono della «consolazione» (At 3,20) il Signore li aiuta a diventare coscienti della testimonianza che ora sono chiamati a restituire a «tutte le famiglie della terra» (3,25). Senza presunzione e senza paura. 


Come farà Pietro che, non molti giorni dopo il suo personale fallimento, manifesta un’eccezionale audacia di fronte alla folla dei Giudei radunata in Gerusalemme. Dopo aver rinnegato il Maestro, Pietro si è svuotato di ogni presunzione, tanto che Gesù è ormai tutto ciò che possiede. Egli sa bene che quando l'uomo smette di fondarsi su se stesso e ripone la sua fede nel nome di Gesù e nella fedeltà della sua persona, uno straordinario vigore si impossessa dell'umanità debole e fragile. Così è accaduto a lui la notte del rinnegamento, così è appena accaduto al paralitico che giaceva sotto la porta Bella, così può capitare a chiunque abbia orecchie e cuore per ascoltare. Pietro è il testimone di una «guarigione perfetta» (3,16) e non teme di annunciare la necessità di un radicale cambiamento di vita. Per compierlo bisogna voltare lo sguardo al mistero della croce, a riconsiderarlo ancora a partire dal proprio peccato (cf 3,14-15) e dalla propria ignoranza (cf 3,17) che l’amore di Dio ha perdonato e salvato. La conversione è un mirare all'opera bella di Dio e davanti ad essa deporre ogni giudizio; lasciarsi guardare e spogliare dagli occhi pietosi dell'Autore della vita, credere che il crocifisso risorto è il definitivo nome di Dio. Solo così possono «giungere i tempi della consolazione da parte del Signore» (3,20) ed egli può essere «accolto in cielo fino ai tempi della restaurazione di tutte le cose» (3,21).


In «questi giorni» santi di Pasqua non c'è altra grazia e responsabilità per noi cristiani, se non quella di annunciare con la vita e le parole il mistero della Risurrezione, affinché il Signore possa portare a tutti gli uomini «la benedizione e perché ciascuno si converta dalle sue iniquità» (3,26).


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