Domenica di Pasqua – Risurrezione del Signore

Letture: At 10,34.37-43 / Sal 117 / Col 3,1-4 / Gv 20,1-9


DAVVERO!



FINE

Sono finiti i giorni del lutto e della penitenza: è la Pasqua del Signore! Se abbiamo provato a vivere il tempo di quaresima con un minimo di sincerità ci saremo accorti almeno di una cosa: qualcosa non va. Non tanto nel mondo; per quello basta aprire il giornale. Non solo perché ci sono le malattie, le nostre cellule deperiscono, si soffre e si muore. Qualcosa non va dentro di noi, perché non siamo capaci di vivere bene, di amare, di accogliere la gioia e la fatica dei giorni che scorrono. Se la quaresima ha funzionato ci siamo resi conto, ancora una volta, di essere peccatori, stupendi esseri creati a immagine e somiglianza di Dio che però falliscono. Un po', tutti i giorni. Se questa coscienza si è riaccesa in noi – poco o tanto non importa – possiamo già ringraziare il Signore, che ci ha donato uno sguardo realista e umile sulla nostra situazione. Beato chi in questi giorni di preghiera e di conversione, ha saputo piangere po' per i suoi peccati e per il male del mondo! Poi abbiamo vissuto il Triduo santo, celebrando la passione, la morte, la sepoltura del Signore Gesù, fino alla grande veglia di Risurrezione. Nel corpo esanime e silenzioso del Cristo abbiamo contemplato il male che noi compiamo e che lui prende su di sé, come qualcosa che gli appartiene. Per sempre e per amore. Ora dobbiamo voltare pagina: Cristo è risorto dalla morte! Lo abbiamo fatto soffrire; abbiamo tentato di metterci una pietra sopra; ci siamo chiusi nelle lacrime e nella tristezza... finché è accaduto «un fatto mai raccontato» (Is 52,15): il sepolcro è esploso! Il Signore è entrato nel nostro inferno e lo ha liberato dal potere delle sue tenebre. La morte non ha potuto trattenere il corpo arso d'amore del Maestro. Gesù è davvero il Signore della vita e della morte!


INIZIO

Certo, tutto sembrava finito. Per i discepoli, chiusi nel dolore e nel senso di colpa, «era ancora buio», quel mattino dopo il sabato, «il primo giorno della settimana» (Gv 20,1). I rimorsi per aver abbandonato il Maestro nell'ora della passione bruciavano senza pietà nei loro cuori, la tristezza e la delusione facevano scorrere le lacrime ed esplodere la disperazione.  Poi «di mattino» (20,1) presto un grido, improvviso: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!» (20,2). Pietro e Giovanni iniziano a correre, confusi ed emozionati, con il cuore in gola e le gambe in spalla, «e si recarono al sepolcro» (20,3). Pietro «entrò nel sepolcro» e vide «i teli posati là, e il sudario» (20,6-7). Anche Giovanni entrò, «e vide e credette» (20,8). Un segno, solo un segno. Il segno di un'assenza. Il cuore pieno di paura dei discepoli finisce la sua corsa davanti al sepolcro vuoto di morte. Il Crocifisso non è più avvolto dalle bende che, in modo ordinato, restano inutilmente sdraiate nel sepolcro, avvolgendo ormai solo il ricordo del Crocifisso sepolto. Accade così anche a noi. Si nasce, si cresce, si progetta la vita, si fanno le scelte importanti: il lavoro, la famiglia, i figli, la Chiesa, il prossimo. E il tempo scorre, arrivano gli imprevisti, le malattie, i tradimenti, i peccati. Solitudine, depressione, angoscia ci vengono a visitare senza preavviso e senza scadenza. Prima o poi, per tutti, tutto sembra finire male. Senza prospettive di cambiamento. Senza speranza di riscatto. Finché un suono ci desta dal sonno. Finché un segno pretende di svuotare il nostro cuore dalla sua radicata tristezza. Come accade oggi, nel giorno di Pasqua.


RISORTO

Un segno, appena un segno, ma immenso come il cielo, forte come un terremoto. Il sepolcro è vuoto! L'unica certezza che abbiamo in questo mondo – la morte – ci viene improvvisamente smentita e sottratta. Qualcuno l'ha vissuta e superata, Gesù, il Maestro buono che ci ha amato e che noi vogliamo amare. I discepoli non sanno cosa pensare, infatti – annota l'evangelista – «non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti» (20,9). Pietro si sente ancora uno schifo per aver rinnegato Gesù nella notte. Giovanni muore di nostalgia per quel Maestro che lo aveva fatto diventare un discepolo felice e amato. Il sepolcro vuoto intercetta la loro desolazione, annunciando in modo velato che la vita del Signore non è finita, la sua storia e la sua esperienza continuano ancora. I discepoli percepiscono che qualcosa è avvenuto, ma non riescono ancora ad immaginare con quale volto il Signore si è rialzato dalla morte. Intuiscono il miracolo, ma non trovano ancora l'amore che il dolore della passione non ha saputo sconfiggere. Perché la risurrezione inizia – e continua – con segni discreti e tenui? Perché dopo tutto quello che ha patito il Signore Gesù non proclama con maggior evidenza la sua vita nuova, affinché tutti arriviamo alla fede e «credendo» abbiamo «la vita nel suo nome» (20,31)? Perché la Risurrezione non è solo un fatto oggettivo, peraltro difficilmente misurabile e verificabile essendo solo in parte realtà di questo mondo. La Risurrezione è un evento che si rivolge a ciascuno personalmente, come un messaggio di amore e di riconciliazione: «Tutti i profeti danno questa testimonianza: chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome» (At 10,43). Cristo è risorto perché Dio è in pace con noi, non ha tenuto conto del male che per noi ha dovuto e voluto soffrire. La notizia della risurrezione di Gesù significa che Dio con il suo amore ha vinto e annullato per sempre il nostro odio, la nostra indifferenza, la nostra apatia; che il suo bene per noi è invincibile, non cambia, è fedele! Il Risorto non appare a tutti e con scientifica evidenza, perché il suo grande desiderio è di trovarci – in fondo alle nostre solitudini – e mostrarci il suo meraviglioso sorriso. Il Risorto ci insegue come un innamorato per dirci che non si ricorda più di quello che è stato, per strapparci dalle nostre tristezze, dalle paure, dai sensi di colpa. Per mostrarci che il sepolcro dove noi temiamo che la vita sia finita, in realtà, è vuoto. Dio non si ricorda più del male che è stato; così come non è affatto preoccupato del bene che ancora non siamo riusciti a costruire insieme. L'amore ha cancellato tutto. L'amore riapre la vita rendendo tutto ancora possibile. Sì, mentre noi restiamo attaccati al nostro dolore, e immersi nella lacrima della tristezza, Dio già sorride. E ci attende fuori dal sepolcro, dalla grande caverna della storia dove tutti noi ancora restiamo, ancora schiavi del peccato e prigionieri della paura.



RISORTI

Questa è la conversione più lunga e difficile, quella alla gioia di Dio. Accorgersi della sofferenza è esperienza comune, pensare che anche Dio conosca il dolore e la morte è possibile a tutti, anche ai non credenti. Credere che Gesù sia risorto è prerogativa dei cristiani, e senza questa fede a nulla varrebbe qualunque battesimo ci sia stato donato. Abbiamo cinquanta giorni per compiere questa conversione, da oggi fino al grande giorno di Pentecoste. Un tempo lietissimo, uno spazio di gioia e di felicità, che sin dai primi secoli del cristianesimo serviva ai battezzati per assimilare e vivere il dono di una vita nuova: «Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio» (Col 3,3)! Risorgiamo anche noi «con» Cristo (3,1)! Usciamo dal sepolcro, perché la pietra è stata «tolta» (Gv 20,1) dall'amore di Dio per noi. Qualsiasi sia l'ostacolo alla pace e alla gioia che ci portiamo dentro il cuore, come ferita o come vuoto, Dio l'ha rotolato via, per dirci che la strada è di nuovo aperta, il giorno sta per cominciare. Non restiamo cocciutamente incatenati ai sensi di colpa o al timore di fronte ad un futuro incerto. Non proiettiamo sulla pietra i nostri incubi e i nostri fantasmi. Il sepolcro vuoto è la prima luce a cui convertire il nostro cuore. Come bambini appena nati, ricominciamo a vivere e ad amare. La notte, con i suoi incubi e i suoi terrori, deve cedere il posto alla potenza invincibile del sole che ormai è sorto: Gesù Cristo, crocifisso e risorto, nostro Signore! Alleluia!


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