Mercoledì della II settimana - Tempo di Quaresima

Letture: Ger 18,18-20 / Sal 30 / Mt 20,17-28


SENZA POTERE



«Si rende forse male per bene?» (Ger 18,20). È l'interrogativo serio ed angosciato del profeta Geremia nel momento della persecuzione, quando i capi di Israele tramano «insidie» (18,18) contro di lui. La risposta a questa domanda riguarda la vita di tutti ed è intimamente connessa con il cammino di conversione che la Quaresima ci sta facendo compiere. Con un po' di sincerità, dovremmo dire che la risposta è: 'sì'. Dopo una immediata accoglienza e simpatia, il bene sembra inesorabilmente destinato ad incontrarsi con il male, con il mistero del rifiuto e della persecuzione. Questo ci racconta la storia umana, la vita di tutti gli uomini autentici, santi e profeti, che hanno cercato di vivere con verità e giustizia i loro giorni. Ad un certo punto non sono stati più ricambiati ma hanno conosciuto l'amarezza della solitudine, il dolore della vessazione, la tristezza dell'esilio. 


Questo tragico e triste finale, lo conosciamo però anche noi, cristiani ordinari, senza altari e senza aureola. Lo sperimentiamo nelle vicende familiari, negli ambienti di lavoro, nelle relazioni che portiamo avanti tra incomprensioni e sofferenze. E quasi sempre ci impone una spiacevole battuta d'arresto; ci congela il cuore. E allora cadiamo nell'ingannevole seduzione di credere che la soluzione al problema del male che ci affossa sia cercare di salire e conquistare un posto dove poter vivere sereni e sicuri. «Di' che questo miei figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno» (Mt 20,21), chiede a Gesù la «madre dei figli di Zebedèo» (20,20) a nome di tutte le madri del mondo e del nostro istinto di sopravvivenza, pieno di buon senso ma vuoto di Vangelo.


Esiste dentro di noi un questo protezionismo materno che ci impedisce di diventare adulti nella fede e di realizzare la nostra umanità. Dietro questo istinto si nasconde l'inganno che, in fondo in fondo, sia meglio «essere servito» che «servire» (20,28). Questo è il «potere» (20,25) che tutti desiderano e a cui tutti fanno fatica a rinunciare.


Esiste però un altro modo di salire, che ha guidato i passi di Gesù verso il dono di sé per amore: «Ecco, noi stiamo salendo a Gerusalemme, e il Figlio dell'uomo sarà consegnato ai sommi sacerdoti e agli scribi, che lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani perché sia schernito e flagellato e crocifisso; ma il terzo giorno risorgerà» (20,18-19). Questo modo di salire non trascura il desiderio di grandezza iscritto nel nostro cuore, ma lo esalta nella verità, lo porta a compimento: «Colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo, e colui che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostro schiavo» (20,26-27).


La rinuncia al potere nella logica del mondo è la rinuncia a dominare come fanno «i capi delle nazioni» (20,25). Solo attraverso questa scelta possiamo non rinunciare ad amare, cioè a «dare la vita» (20,28).


Commenti

Anonimo ha detto…
Chi decide di seguire Cristo deve fissare lo sguardo nel dolore, non nel trionfo; nel sacrificio e nel servire, non nell'essere serviti;
nella disponibilità a perdere, non a guadagnare.

Che la croce diventi in noi libertà contagiosa di amore infinito.