Lunedì della I settimana - Tempo di Quaresima

Letture: Lv 19,1-2.11-18 / Sal 18 / Mt 25,31-46


SENZA SFORZO




La quaresima – dicevamo ieri – è un tempo di conversione al Signore della vita, non l'esercizio di mortificazioni e penitenze fini a se stesse. Il codice di santità del Levitico, che la liturgia della Parola ci propone oggi come prima lettura, sembra orientare la riflessione esattamente verso questa direzione, poiché propone senza preamboli un invito alla vita nella sua pienezza: «Siate santi, perché io, il Signore, Dio vostro, sono santo» (Lv 19,2). Il tempo di conversione del cammino quaresimale è finalizzato a farci desiderare ardentemente la santità, non come impossibile meta irraggiungibile alle nostre forze, ma come realizzazione della nostra umanità secondo il desiderio e la grazia di Dio.


Naturalmente una meta così attraente, ha bisogno di essere declinata in traguardi intermedi, più concreti e accessibili alla nostra indecisa e instabile volontà. Nei tempi antichi il cammino verso la santità si precisava in una serie di attenzioni al divieto: «Non ruberete... Non giurerete... Non opprimerai... Non disprezzerai... Non commetterete ingiustizia... Non coverai nel tuo cuore odio... Non ti vendicherai...» (19,passim), ma si concludeva nuovamente al positivo: «Ma amerai il tuo prossimo come te stesso» (19,18). Nella pienezza dei tempi, in virtù del mistero dell'incarnazione, Cristo può trasformare l'obiettivo della santità, che resta il termine della Legge, in una attenzione ai «più piccoli» dettagli della realtà che sono i «fratelli» (Mt 25,40.45). Dal momento in cui il Santo, che è Dio, ha voluto assumere la nostra umana realtà, il rapporto con la santità, che è la sua vita divina, si gioca tutto dentro una profonda attenzione al tessuto fragile dell'umanità. La nostra umanità e quella dei fratelli che quotidianamente incontriamo nel cammino della vita. 


La conversione al Signore diventa perciò una ricerca che non deve puntare né in alto, né lontano, ma in basso, nelle pieghe poco appariscenti della nostra esistenza quotidiana e banale, che diventano alla luce del Vangelo il grande deserto in cui impariamo ad essere discepoli. 


Il fatto che alla fine dei tempi, «quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli» (25,31), sia i giusti che gli empi resteranno sorpresi nel venire giudicati su qualcosa che non ricordano di aver compiuto o meno, ci rivela che questa tensione verso i più piccoli e verso gli avvenimenti più semplici, è in fondo una compassione naturale, di cui non si deve e non si può essere fino in fondo consapevoli. In altre parole, l'amore diventa alla fine un movimento che l'uomo riesce a compiere senza troppo pensare e senza nemmeno avere l'intenzione di fare qualcosa di più di ciò che sta semplicemente compiendo.


È una bella provocazione per il nostro cuore religioso, che continuamente cerca uno specchio dove scrutare i miglioramenti spirituali avvenuti. La conversione al Signore non è l'offerta di una forza che non abbiamo o che ostentiamo con orgoglio, ma la restituzione di quell'amore che abbiamo prima ricevuto. Naturalmente, senza sforzo.


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