IV Domenica del Tempo Ordinario – Anno A

Letture: Sof 2,3; 3,12-13 / Sal 145 / 1Cor 1,26-31 / Mt 5,1-12


FELICI !




FELICI?

La liturgia di oggi ci fa ascoltare una pagina di capitale importanza per la fede cristiana: l'evangelo delle beatitudini. È un testo che conosciamo fin troppo bene ma che forse, in questa nostra società iperbenestante e tendenzialmente edonistica, ha qualcosa di prezioso da dire e da ricordare. Gesù spiega ai suoi discepoli il segreto della felicità. Non possiamo che riconoscere al Maestro Gesù un'ottima strategia di marketing, visto che la felicità resta il sogno che gli uomini inseguono incessantemente. 


La felicità è quella cosa per cui tutti corriamo ogni giorno, come in una gigantesca caccia al tesoro. Nessuno in fondo sa bene che cosa la felicità sia, ma tutti vogliono vendertela. Trascorriamo i giorni così, vedendo sfilare davanti ai nostri occhi decine, centinaia di offerte di felicità. Che cosa serve per essere felici? Che cosa dice la nostra società? Lo sappiamo: è sufficiente essere giovani, belli e sani, avere una buona intelligenza, un lavoro che ci realizza e che ci procura un sacco di soldi, una moglie bellissima e intelligente, dei figli educati e autonomi, qualche casa in città e almeno un paio di alloggi tra montagna e mare. Voilà, il gioco è fatto!


Purtroppo poi non siamo davvero felici! Restiamo soli e desolati nelle nostre stanze vuote, piene di cose, povere di relazioni. Con un pugno di mosche in mano. Ci accorgiamo tutti, presto o tardi, che le cose non stanno così, che molti desideri sono indotti, artificiali e fasulli. Eppure ci caschiamo continuamente, attirati soprattutto da quel desiderio che fa muovere l'economia mondiale: il desiderio di essere unici. E così compriamo tutti le stesse cose, facciamo tutti le stesse cose e veniamo massificati. Non c'è bisogno di aver fatto un master in economia per accorgersi di questo meccanismo.


E se Dio avesse qualcosa da dirci a proposito?


FELICI!

San Paolo scrivendo ai cristiani di Corinto, dice loro: il Signore non vi ha chiamato perché eravate «potenti», «nobili» (1Cor 1,26), «sapienti» (1,27). È stata la vostra povertà, anzi addirittura ciò che al «mondo» appare «ignobile e disprezzato» (1,28) in voi, ad attirare la simpatia e il favore di Dio. Bello! La prima e fondamentale regola della felicità è secondo l'apostolo un po' di sano realismo, la capacità di guardarsi allo specchio limpidamente e senza paura. 


Gesù nel discorso della montagna completa la ricetta stendendo un elenco di disgrazie che noi rifuggiamo come la peste; definisce beati quelli che noi consideriamo infelici. Per noi è beato il ricco, il potente e l'onorato: vale chi ha, può e conta. Per Gesù invece è beato il povero, l'umile e il disprezzato: vale chi non ha, non può e non conta. È un capovolgimento radicale: o ha ragione lui, oppure noi. I criteri con cui Dio giudica e vede il mondo sono esattamente l'opposto dei nostri. Le beatitudini ci introducono velocemente nello scandalo della croce.


Ma cosa dice Gesù? Le sue parole sono una follia da un punto di vista umano! Non ci rimetteremo mica ad esaltare il dolore, la sofferenza, le lacrime?! No, Gesù sta parlando di amore e sta rivelando la sua personale esperienza. La beatitudine non consiste nella sofferenza, ma in quell'amore che desidera il bene e la giustizia e che davanti alla sofferenza non si ferma, ma prosegue il suo cammino anche se il prezzo da pagare sono le lacrime e la persecuzione.


Felici sono i «poveri in spirito», perché sono abituati a ricevere e dunque Dio può donargli il suo «regno» (Mt 5,3).

Felici sono quelli che riescono ancora piangere, a versare lacrime per la propria e altrui miseria.

Felici sono «i miti», coloro che rinunciano ad ogni forma di violenza e aggressività, perché sono come la «terra» (5,5), semplice e feconda.

Felici sono «quelli che hanno fame e sete della giustizia» (5,6), che desiderano rapporti veri con gli altri, non costruiti soltanto sui sentimenti, ma sulla giustizia e sulla solidarietà.

Felici sono i misericordiosi, coloro che in un oceano di squali scelgono ancora di dimenticare il male ricevuto, di perdonare.

Felici sono «i puri di cuore» (5,8), perché essendo liberi dentro vedono Dio in tutto e in tutti.

Felici sono gli uomini e le donne che costruiscono la pace, rinunciando ad aggiungere le loro voci al coro dei brontoloni.

Felici sono quelli che pur di non collaborare ad un mondo ingiusto sono disposti ad essere scartati e messi da parte.


Gesù non ci regala però illusioni: le beatitudini sono tutte al futuro, tranne la prima e l'ultima. Ciò significa che la felicità del discepolo è una gioia a metà. Mentre il cuore già possiede la speranza del «regno» (5,3.10), si cammina attraverso la fame e la sete, le tristezza e il dolore.


VOI

Vi prego, voi discepoli del duemilaeotto: non fate nulla dopo aver ascoltato questo rivoluzionario programma di vita. Semmai una cosa: provate a credere che queste parole sono un Vangelo che possiamo vivere e non un'altra, nuova morale! Provate ad imprimerle nel vostro cuore e nella vostra intelligenza. Ritagliatele e appendetele nei luoghi della vostra vita (scrivania, cruscotto, frigorifero, computer, ecc.). Provate a ripeterle la prossima volta che vi verrà la tentazione di usare un po' di mascherata aggressività, di essere un pochettino ingiusti sul lavoro e nelle questioni fiscali (tanto così fan tutti), di custodire il rancore anziché perdonare. Provate a chiedere al Signore il coraggio di entrare nella sua felicità che sta puntualmente nella direzione opposta a quella dove noi, inutilmente, ogni giorno la cerchiamo. 


Felici voi se quando sarete usciti dalla chiesa, quando sarete tornati nelle vostre case e nei vostri uffici, comincerete ad andare in crisi nel tentativo di vivere queste parole! Felici voi se non rinuncerete  a custodire nel cuore la scandalosa bellezza di questo Vangelo. Sarà il segno inequivocabile che la parola del Signore ha attecchito nella vostra terra e la sua vita sta cominciando a rifiorire in voi.


Non più come uno sforzo, ma come un desiderio, come una felice responsabilità.


Commenti

Anonimo ha detto…
Mi ha sempre colpito la proclamata beatidudine dei "miti" e mi sono chiesto chi possano essere gli autentici, evangelici "miti". Ritengo siano coloro che con ferma decisione, senza ripensamenti e con assoluta determinazione giungano a spendere o addirittura a dare la loro vita per i fratelli. Gesù fu il mite per eccellenza, l'agnello di Dio, il "mite e umile di cuore".
Anonimo ha detto…
Beatutudini:

Progetto e stile di vita.
Che bello se fosse veramente così!!
Riconoscere il "volto di Cristo"
nella nostra vita e in quella del nostro prossimo.
Anonimo ha detto…
"La beatitudine non consiste nella sofferenza, ma in quell'amore che desidera il bene e la giustizia e che davanti alla sofferenza non si ferma, ma prosegue il suo cammino anche se il prezzo da pagare sono le lacrime e la persecuzione."

Scrivi così nel tuo commento al vangelo e alle letture di domenica scorsa.
Volevo solo dirti che leggendo queste parole ho visto davanti a me tutti quei martiri che hanno dato la vita per cercare di realizzare il regno di Dio in terra, per la giustizia, l'amore, la solidarietà. In particolare ho pensato ai loro famigliari: in questo periodo sto traducendo delle interviste fatte a della gente del Slavador (per un interessante programma che va in onda su canale 5 la domenica mattina. Si chiama Frontiere dello spirito. Interseting!!!)e mi ha colpito tantissimo la forza di questa gente, che pare davvero "beata", che continua a desiderare quei valori per cui hanno combattuto tanti sacerdoti e tanta gente povera lì ne Salvador (da Padre Romero a Jon Cortina, a Octavio Ortiz e altri).Come mi sento solidale eppure così piccola e debole di fronte a tanta forza!