III Domenica - Tempo di Quaresima

Letture: Es 34,4-10 / Sal 105 / Gal 3,6-14 / Gv 8,31-59 (rito ambrosiano)


QUESTIONE DI LIBERTÀ



È un bel guaio la liturgia di questa terza domenica di quaresima. Non solo per il predicatore, il quale se riesce a offrire un buon commento al vangelo come minimo suscita collera e imbarazzo nell'assemblea. In realtà siamo tutti nei guai perché dobbiamo fare i conti con questo scomodo vangelo che ci rivela, senza mezzi termini, un problema che ostacola pesantemente il nostro cammino di conversione. Potremmo definirlo mancanza di libertà, quella libertà interiore che dovrebbe risplendere in chi crede in un Dio che è infinito amore.


Nella cosiddetta 'domenica di Abramo', che la liturgia ambrosiana pone a metà del cammino quaresimale, è proprio la nostra fede ad andare in crisi di fronte alla parola del Signore. Il Vangelo ci informa che esiste un'indifferenza e una sordità alla voce di Dio ben peggiore di quella che caratterizza coloro che si definiscono atei o non praticanti. È l'impermeabilità che si radica in maniera clandestina nel cuore dei credenti, della brava gente che ogni domenica va a Messa, non fa il male, si confessa e dice le preghiere.


LIBERI?

In realtà il Vangelo inizia bene, con una fantastica proposta da parte di Gesù: «Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8,31-32). Il Maestro ci parla di una bellissima realtà e ci indica anche come raggiungerla. Di fronte a queste parole tuttavia anche noi possiamo reagire come i Giudei, i quali «avevano creduto in lui» (8,31): «Come puoi tu dire: Diventerete liberi?» (8,33). Già, cosa vuoi dirci Gesù: forse che non siamo ancora liberi? Insomma, siamo dei bravi cristiani, «siamo discendenza di Abramo» (8,33), non ammazziamo nessuno, ti vogliamo bene, crediamo in te, difendiamo il Papa, andiamo a Messa. Da cosa dobbiamo liberarci ancora? 

SCHIAVI?

Sì, risponde Gesù, è vero: siete brava gente, ma non siete ancora «liberi davvero» (8,36). Certo avete fiducia in me, ma non avete ancora aderito totalmente al mio Vangelo: la vostra vita parla chiaro, non siete ancora convertiti con tutto il cuore e con tutta la volontà! Anzi, siete schiavi, aggiunge il Signore, perché «chiunque commette il peccato è schiavo del peccato» (8,34). Forse il Signore ha ragione, dobbiamo ammetterlo! Diciamo di non essere «schiavi di nessuno» (8,33) ma purtroppo non è vero. Non viviamo interiormente liberi: molte cose ci condizionano e ci imprigionano, siamo schiavi di molte scelte e situazioni, che magari non ci sono nemmeno chieste da Dio. Altre volte ci accorgiamo di non essere liberi davvero perché ci sforziamo di essere quello che vogliono gli altri, o perché cerchiamo di aderire ad un'immagine ideale e perfetta che ci siamo fatti di noi stessi. Per non parlare poi dei vizi e delle debolezze che ci trasciniamo dietro da tanto tempo, con una certa rassegnazione che ci fa credere che non potremo mai cambiare. Forse Gesù ha ragione: siamo schiavi!


INOSPITALI?

Siamo dunque schiavi perché peccatori? Non proprio! Essere liberi non significa essere perfetti. Non significa nemmeno essere quello che gli altri vogliono o noi vorremmo. Significa essere amati e dunque capaci di maturare perché liberi dal giudizio che sempre ci blocca e ci paralizza. Gesù dice: io sto cercando di dirvi l'amore infinito che Dio ha per voi, però mi accorgo che «la mia parola non trova posto in voi» (8,37). Siamo schiavi perché nel nostro cuore non ci sono le parole e i sentimenti di Gesù, non perché siamo peccatori! E le parole di Gesù non abitano dentro di noi perché sembra che non abbiamo più tempo per pregare, per fermarci a riflettere, per ascoltare il nostro cuore e per sentirci amati da Dio. E così corriamo a destra e a sinistra inseguendo inutilmente una felicità e una pace che non gustiamo mai. Per essere liberi, dice il maestro, non servono tante cose, bisogna però «rimanere fedeli alla mia parola». Allora siamo «davvero discepoli» (8,31), perché conosciamo la grande «verità» (8,32) che cambia la vita: l'amore infinito che Dio ha per noi, per ciascuno di noi. Quell'amore che già ai nostri padri fu annunciato per mezzo dei profeti: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di grazia e di fedeltà, che conserva il suo favore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressioni e il peccato, ma non lascia senza punizione, che castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazione» (Es 34,6-7). Come mai non riusciamo a portare nel cuore il volto bellissimo di questo Dio che non riesce a tenere il muso per più di tre o quattro minuti, tanto è il bene che ci vuole?


OMICIDI?

Poi Gesù esagera: siccome la mia parola non trova posto in voi, allora «cercate di uccidermi» (8,37). Questa è veramente grossa! Ma come possiamo noi uccidere il nostro Signore? Quando cerchiamo di uccidere Gesù? Accade quando gli impediamo di vivere nella nostra umanità e nelle nostre scelte. Quando rimaniamo chiusi in noi stessi e nelle nostre quattro sicurezze e non gli permettiamo di cambiare la nostra vita. Quando non ascoltiamo con amore e fedeltà la sua parola, perché (forse) pensiamo ormai di conoscerlo. Quando lo ignoriamo e non gli permettiamo di essere davvero il Signore della nostra vita. Quando non gli chiediamo più consigli né aiuti. Quando riduciamo la confessione a una timorosa e superficiale pratica formale, senza lacrime e senza cuore. Quando non abbiamo un rapporto con Dio come Padre, ma ci limitiamo a dire le preghiere. In tutti questi casi cerchiamo di soffocare la bellezza e la libertà del Vangelo di Gesù. Questo è il nostro problema di fede: il Vangelo ci autorizza a vivere come figli amati e liberi, noi invece ci rinchiudiamo in uno schemino piccolo e rigido, limitandoci a non sbagliare. 


INDEMONIATI?

L'invettiva del Maestro poi dilaga: «Avete per padre il diavolo» (8,44), infatti egli è il «padre vostro» (8,38)! Questo è veramente troppo!! Noi abitati e posseduti dal demonio? Eppure le nostre opere parlano chiaro; mote cose che siamo e che facciamo non sono certo espressione di amore e di verità. Possiamo riconoscere che ascoltiamo il diavolo quando perdiamo tempo e denaro nel cercare di diventare qualcosa di esteriore, anziché imparare a sperimentare l'amore di Dio e a vivere di questo amore. Ascoltiamo il diavolo quando facciamo sempre quello che vogliamo noi, e poi non siamo sazi né felici. Ascoltiamo il diavolo quando ci illudiamo di poter apparire anziché essere. E quando per apparire bravi, belli, giusti, smettiamo di essere misericordiosi. Ascoltiamo il diavolo quando dominiamo troppo gli altri, anziché servirli; quando ci serviamo degli altri e delle nostre cose per i nostri scopi, quando giudichiamo e condanniamo con facilità, anziché cercare di comprendere e perdonare.


IMMORTALI?

Gesù, quasi accorgendosi che serve una prospettiva di speranza, conclude il suo discorso dicendo: «In verità, in verità vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà mai la morte» (8,51). Accipicchia! Ma che cosa vuol dire? Sappiamo che moriremo. Gesù stesso è morto; anche i santi sono passati attraverso l'esperienza della morte! Cosa vuole dirci il Maestro? Gesù vuol dire che se ascoltiamo la sua parola possiamo imparare a non vedere la morte come limite terribile e insuperabile, che scatena in noi ogni male e ogni paura, perché la sua parola ci insegna a conoscere e a credere l'amore infinito di Dio. Quello rivelato a Mosè (I lettura). Quello creduto da  Abramo (II lettura). Esiste infatti una morte che possiamo sperimentare prima e dopo la morte fisica del nostro corpo: è la morte dell'anima, della gioia, dell'amore che viviamo tra di noi. È la morte più terribile, perché ci confina dentro una tristissima solitudine, dove niente e nessuno può raggiungerci. Questa morte interiore non la vede – cioè non la gusta – soltanto chi è disposto ad amare senza portare rancore, senza tener conto del male ricevuto, cioè chi è capace di perdono, come il Figlio di Dio che proprio in virtù del suo amore è morto e poi è risorto.


LIBERI!

Ecco il motivo profondo per cui oggi possiamo accettare questa dura critica di Gesù nei nostri confronti: per tendere ad una vita che non muore più. Nella misura in cui accettiamo di essere ancora schiavi e indemoniati, possiamo aprirci ad un cammino verso una maggior libertà interiore, che possiamo vivere perché figli amati teneramente da Dio. Oggi, dopo i secoli delle grandi guerre e delle grandi ideologie, inseguiamo tutti la libertà. Costruiamo l'economia e la politica attorno a questo grande ideale. Non credo che sia la stessa libertà di cui ci parla Gesù nel Vangelo. La libertà vagheggiata dalla nostra società iperconsumistica, ultraedonistica, benpensante, si riduce ad una grande esaltazione del proprio io, perché è soprattutto la libertà di poter fare ciò che si vuole. Naturalmente nel sedicente rispetto assoluto della libertà altrui! La libertà di cui parla il Vangelo invece è la libertà che mette al centro l'altro, riconosciuto come fratello da accogliere e amare. È la libertà di vivere come figli di Dio, capaci di amare, di perdonare, di non rinunciare mai alla giustizia. E di fare tutto questo con estrema semplicità, senza schematismi e senza esteriorità. Con la stessa naturalezza con cui risplendono il sole e l'altre stelle.


Commenti

Unknown ha detto…
Com'è vero! Ogni giorno sento il peso delle schiavitù interiori di cui parli, che spesso non mi accorgo neanche di avere. Per esempio quando cerco di rientrare nel programma che mi sono imposta, nell'idea di me che mi sono messa in testa e che non tiene però conto di tante cose. Io credo che l'amore vissuto, ricevuto e donato, sia davvero la chiave per la libertà interiore. E se lo spirito è libero, tutta la persona lo diventa.