Giovedì della II settimana - Tempo di Quaresima

Letture: Ger 17,5-10 / Sal 1 / Lc 16,19-31


SENZA ILLUSIONI



Esistono cose a cui attribuiamo poca importanza, mentre invece è notevole il loro oggettivo valore. Ad altre, parimenti, ne riconosciamo di più di quanto sia ragionevole e utile fare. Durissima è la critica che il profeta rivolge a chi fonda la propria vita sulle cose che in nessun modo possono farle da sicuro fondamento, perché sono autentiche illusioni: «Maledetto l'uomo che confida nell'uomo, che pone nella carne il suo sostegno» (Ger 17,5). 


L'invettiva di Geremia non è certo disapprovazione nei confronti di un giusto ed equilibrato amore per l'uomo. Oggetto di maledizione è letteralmente l'uomo (geber, uomo adulto in ebraico) che pone la sua fiducia (aman) nelle cose terrestri (adam, uomo terrestre) e che fa della carne (basar) il suo braccio» (17,5); in altre parole: è maledetto l'uomo adulto che crede di poter appoggiare il mistero della sua vita sulla roccia (fragile) della terrestrità e che utilizza per vivere soltanto le sue forze umane. Per il profeta un uomo simile è destinato a dimorare in «luoghi aridi» e in un non «vivere» (17,6), al punto che «quando viene il bene non lo vede» (17,6).


Riesce difficile immaginare che la nostra vita possa, deliberatamente, orientarsi verso questo scenario di morte e di solitudine. Ma il Vangelo riduce questa apparente distanza e fa scivolare attraverso la narrazione il giudizio severo e salvifico della Parola di Dio. Luca, esattamente dopo aver proclamato l'irriducibile immensità della misericordia di Dio (cf Lc 15), offre un'immagine piuttosto cruda di come la nostra vita possa procedere nell'illusione di un individualismo che non presta alcuna attenzione ai bisogni che giacciono vicino a noi. 


Il ricco epulone «banchettava lautamente» (19,19), mentre un «mendicante, di nome Lazzaro giaceva alla sua porta» (16,20). Non sappiamo se il ricco era consapevole o meno della presenza del povero vicino a lui, mentre colpisce il riferimento a quella «porta» di casa che rimane tragicamente chiusa, segno di un cuore sigillato e indurito, che – come dice il profeta – è «difficilmente guaribile» (Ger 17,9). È un immagine spietata e vera, che mette in luce un rischio reale per la nostra vita: rimanere chiusi e indifferenti a quello che ci circonda. Non si tratta di una insensibilità che riguarda soltanto le persone benestanti, le quali facilmente possono dimenticarsi di condividere i loro beni, ma di una vera e propria rigidità di cuore che ha bisogno di terapie urgenti. 


Ci illudiamo infatti di poter vivere senza aprire questa porta; ci illudiamo di poter vivere senza mettere il nostro cuore nelle cose che facciamo, nelle parole che pronunciamo, nella quiete con cui ascoltiamo e accogliamo il fluire della vita attorno a noi. Ma non è così! Quando lo facciamo il nostro cuore si indurisce e gli altri smettono di essere «accanto» (16,23) a noi come fratelli da amare e da cui farci amare, perché figli dell'unico Padre. 


Questa illusione di essere e di poter restare soli in questo mondo crea ogni giorno un vuoto attorno a noi, che tuttavia può ancora essere annullato e riempito con coraggio e fiducia nella parola del Signore. Nessuna distanza tra noi e gli altri per ora è infinita, mentre nell'eternità diventerà «un grande abisso» (Lc 16,26). Il Signore Gesù non ci parla con queste immagini per terrorizzarci, ma per aprirci gli occhi sulla realtà che viviamo e sulla libertà che abbiamo la responsabilità di assumere. Il Maestro ci parla perché sa che possiamo compiere il breve tragitto che ci conduce fino alla nostra porta e, attraverso di essa, ad un rapporto autentico con gli altri, fondato sull'ascolto, sulla carità e sulla misericordia.


Non rimandiamo a domani questo breve viaggio!  Per paura, non restiamo trincerati dietro alle illusioni di poter fare a meno degli altri. E dell'amore – piccolo, povero, concreto – che le nostre mani possono ancora donare.


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