Giovedì della I settimana - Tempo di Quaresima

Letture: Est 4,17k-u / Sal 137 / Mt 7,7-12


SENZA ALTRO



La regina Ester, in un momento di «angoscia mortale» (Est 4,17k) e di estremo pericolo per il popolo di Israele, si dimostra già discepola perfetta del Signore Gesù e dei suoi insegnamenti: «Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto» (Mt 7,7). La sua preghiera è sincera e accorata, teologicamente ben fondata perché prende avvio in obbedienza perfetta al primo dei dieci comandamenti: «Mio Signore, nostro re, tu sei l'unico» (Est 4,17l).


Mentre riconosce l'unicità di Dio e la necessità del suo aiuto, Ester matura la consapevolezza che il destino del suo popolo è legato alla sua personale disponibilità a coinvolgersi e a compromettersi in prima persona, perché lei è l'unica che può fare qualcosa per salvare il popolo ormai votato allo sterminio. Proprio dentro una profonda solitudine (cf 4,17t), Ester si dimostra regina nel momento in cui mette da parte privilegi e paure, per chiedere a Dio il «coraggio» (4,17r) di parlare con il re Assuero esponendosi al rischio della morte: «Metti sulla mia bocca una parola ben misurata di fronte al leone» (4,17s).


Sarebbe bello poter interiorizzare e assimilare lo spirito di questa preghiera, ma le parole del Maestro nel Vangelo denunciano una grave difficoltà che incontriamo dentro di noi, quando ci troviamo anche noi in situazioni di difficoltà e di bisogno. Dice Gesù: «Chi tra di voi al figlio che gli chiede un pane darà una pietra? O se gli chiede un pesce, darà una serpe?» (Mt 7,9-10). Nessuno, risponderemmo noi! E invece sono proprio queste le cose che pensiamo di Dio, quando lo chiamiamo Unico, ma non accettiamo che anche lui faccia altrettanto con noi, facendoci capire che, come la regina Ester, noi siamo gli unici che possono parlare e agire in suo nome, portando a compimento «la Legge e i Profeti»: «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro» (7,12).


Forse le difficoltà nella preghiera che tutti viviamo sono molto legate alle aspettative che portiamo nel cuore e ad una certa incapacità di coinvolgerci in prima persona nelle situazioni, spesso dolorose e tristi, per le quali soffriamo e preghiamo. E così quando ci accorgiamo che i disegni di Dio sono diversi dai nostri progetti, adoperiamo questa differenza come una scusa per smettere di fare la nostra parte di bene, cioè non ci preoccupiamo più di dare agli altri quello che noi vorremmo ricevere. Avendo rinunciato a lasciare che i silenzi e i progetti di Dio educhino il nostro cuore a desiderare «cose buone», rinunciamo ad offrire «cose buone» (7,11) anche agli altri.


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