Lunedì - I settimana del Tempo Ordinario

Letture: 1 Sam 1,1-8 / Sal 115 / Mc 1,14-20


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Torniamo al Tempo Ordinario, lo facciamo con il primo libro di Samuele, che racconta la storia del regno di Israele e con il Vangelo di Marco, che annuncia in Gesù Cristo la definitiva venuta del regno di Dio per tutta l'umanità. Come se già questa tensione tra Antico e Nuovo Testamento rivelasse il significato di questo tempo che siamo chiamati a vivere e interpretare. Un tempo nel quale scorgere i motivi e i percorsi per passare dal piccolo al grande, dal particolare all'universale, dalla nostra ristretta visione della realtà al più ampio sguardo del Dio di tutte le cose.


Nel Primo Testamento ascoltiamo l'esperienza amara e desolata di Anna, una donna sterile, che non conosceva la gioia della maternità, ma solo la tristezza di una sterile e rassegnata attesa. Il dolore era poi acuito quando tutta la famiglia andava al santuario di Silo «per prostrarsi e sacrificare al Signore» (1Sam 1,3). Allora Peninna, l'altra moglie di suo marito Elkana che «aveva figli» (1,2), «l'affliggeva con durezza a causa della sua umiliazione, perché il Signore aveva reso sterile il suo grembo» (1,6). Non si trattava di un'esperienza sporadica, ma continua: «Così succedeva ogni anno: tutte le volte che salivano alla casa del Signore, quella la mortificava» (1,7).


Non di rado anche noi ci ritroviamo tra le mani «una parte sola» (1,5) di felicità e non riusciamo a scorgere l'amore che sta dietro questo singolo dono, come quello di Elkana: «egli amava Anna, sebbene il Signore ne avesse reso sterile il grembo» (1,5). Gli altri con tutte «le loro parti» (1, 4) di vita ci sembrano tutti davanti a noi, maggiormente benedetti da quel Dio che di noi forse si sta un po' dimenticando. Restano le lacrime in queste situazioni; dal cuore fugge la voglia di vivere, come Anna che un giorno «si mise a piangere e non voleva prendere cibo» (1,7). A poco o a nulla valgono i tentativi di consolazione da parte di chi ci conosce e ci vuole bene: «Anna, perché piangi? Perché non mangi? Perché è triste il tuo cuore? Non sono forse io per te meglio di dieci figli?» (1,8). Serve una voce più forte e autorevole, come quella del nostro visionario Rabbì che davanti alla nostra tristezza esclama: Tutto qui?! Ma guarda che «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino» (Mc 1,15), perché non provi a girarti dall'altra parte e a credere che vicino a te ci sia una Buona Notizia? 


Non è una voce facile da ascoltare quella di Dio quando vuole farci tornare il buon umore. Anzi, con tutte le nostre tristezze che pulsano dentro, i migliori sogni in perenne stand-by, i progetti avviati con Dio al nostro fianco che stentano a compiersi o a risorgere ci pare quasi irriverente e insensibile il 'no problem' di Gesù. Con tutto il rispetto e il bene che gli vogliamo!


Per fortuna anche se non vediamo esattamente il regno di Dio accanto a noi, almeno possiamo vedere un po' di luce nella vita dei fratelli nella fede. Quelli che hanno fatto scelte forti a causa del Vangelo, oppure quelli che rendono forti le scelte di tutti i giorni attraverso la gioia e la speranza che il Vangelo infonde in loro. Come quei quattro pescatori che lasciano «le reti» (1,18), «il loro padre» (1,20), cioè quelle cose che a noi paiono indispensabili per vivere e nelle quali cerchiamo spasmodicamente il pegno di una duratura felicità. Nelle persone che hanno scoperto il tutto di Dio presente qui e ora, troviamo una concreta conferma del Vangelo. Attraverso la loro testimonianza siamo aiutati a credere che non manca davvero più nulla al tempo che viviamo, che è perfettamente inutile stare ad ascoltare il pianto delle delusioni passate, o il canto delle illusioni future. Meglio guardare in faccia quale volto ha il presente, e imparare a leggervi dentro il sorriso e la fiducia di Dio.


Questo possiamo ricominciare a fare nel tempo a cui manca la fluorescenza dei giorni speciali: diventare discepoli della Buona Notizia, seguire Gesù, il Maestro, l'amico, il Signore.


Ancora!


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