Venerdì - I settimana del Tempo Ordinario

Letture: 1 Sam 8,4-7.10-22a / Sal 88 / Mc 2,1-12


SEPARAZIONE



Le letture di oggi ci aiutano ad approfondire il tema del peccato, la ragione ultima per cui subordiniamo il Principio di ogni cosa alle nostre volontà e alle nostre paure.


All'origine di quello che il linguaggio biblico della fede definisce peccato c'è sempre la rivendicazione di un'utopica autonomia e il rifiuto di una fraintesa dipendenza. Israele, dopo l'insediamento nella terra promessa, comincia ad avvertire «vecchio» (1Sam 8,5) e poco efficace il modo con cui Dio custodisce e guida la vita del popolo e desidera essere come «tutti i popoli» (8,5). «Dacci un re che ci governi» (8,6): dicono gli anziani al profeta Samuele.


Se la proposta è ragionevole, l'intenzione è «cattiva» (8,6), come intuisce acutamente l'uomo di Dio. Dietro ad essa si nasconde il progetto di emanciparsi dal Dio dell'esodo, affinché «non regni più su di essi» (8,7). Il peccato infatti si traveste sempre di ragionevolezza e di opportunità, altrimenti nessuno lo farebbe.


Samuele, dopo aver riferito ogni cosa «all'orecchio del Signore» (8,21), invita il popolo a riflettere dichiarando le «pretese del re che regnerà su di loro» (8,9). In un discorso pacato e condito di buon senso, il profeta fa notare come un eventuale re non potrà che essere un detrattore di «figli» (8,11), «figlie» (8,13), «campi» (8,14), «schiavi e schiave» (8,16). Anzi, diventerà facilmente un dittatore da cui si vorrà essere salvati: «Voi stessi diventerete suoi schiavi. Allora griderete a causa del re che avrete voluto eleggere, ma il Signore non vi ascolterà» (8,17-18). Ma il popolo non dà «retta a Samuele» e rifiuta «di ascoltare la sua voce», anzi grida: «No, ci sia un re su di noi» (8,19). La tentazione di fare il male, divenuta collettiva, accieca gli occhi del popolo perché ha già piegato la volontà e paralizzato l'intelligenza critica.


Così si sviluppa sempre il peccato dentro di noi, come un desiderio irrefrenabile, che niente e nessuno ci può impedire di commettere quando ha già sedotto il nostro cuore. Purtroppo dopo averlo compiuto, scopriamo l'inganno e gustiamo il dolore e il vuoto che esso produce. Un'illusione che poi ci paralizza e ci separa dalla vita: ecco cos'è il peccato! 


Dio però non ci impedisce di commettere il male; non sarebbe per noi salvezza una simile intrusione nella nostra libertà. Ci segue e non si stanca di costruire dentro la nostra storia percorsi di guarigione e di libertà. Israele avrà il suo regno, ma sarà eternamente segnato da lotte, divisioni e infine dalla terribile esperienza della deportazione e dell'esilio dalla terra promessa da Dio.


I cristiani lungo i secoli hanno ripetutamente compiuto il peccato del popolo eletto, ogni volta che hanno ceduto alla tentazione di sostituire il principio dell'amore incondizionato con altri principi, ritenuti più importanti e irrinunciabili per la vita dell'unica Chiesa di Cristo. Così, dopo divisioni e guerre di religione, oggi ci troviamo a vivere in un continente che non è più disposto a riconoscere di avere tra le sue radici quell'esperienza di fede e di umanità che tutto il mondo chiama cristianesimo.


Da questa paralisi e dai peccati che l'hanno determinata «il Figlio dell'uomo ha il potere» (Mc 2,10) di salvarci, affinché ciascun credente e ciascuna comunità cristiana possa vivere e tornare nella sua «casa» (2,11). Nella pace e nella libertà.


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