Giovedì - I settimana del Tempo Ordinario

Letture: 1 Sam 4,1-11 / Sal 43 / Mc 1,40-45


SELF SERVICE


Mi serve qualcosa? Lo prendo! 

Voglio? Lo faccio!


Ogni giorno va un po' così... ci serviamo di tante cose che, a torto o a ragione, riteniamo indispensabili per la nostra vita, per il nostro benessere, per la nostra felicità. L'uomo credente è persuaso che anche Dio rientri nel suo fabbisogno giornaliero. Ovvio! Chi poi crede nel Dio di Gesù si sente ancora più a suo agio nel presentare richieste e petizioni ad un Padre misericordioso, che ha dimostrato di mettersi volentieri a servizio della nostra vita.


Il problema è che questa evangelica familiarità si può tradurre in una tendenza a chiedere a Dio di mettersi a servizio dei nostri desideri che spesso sono capricci, dei nostri progetti che talvolta sono segnati dall'egoismo, delle nostre decisioni che non di rado nascondono paura e pigrizia. Questo dannoso servizio Dio non lo può e non lo vuole fare. Non tanto perché ci serviamo di Lui anziché farci suoi servi, ma soprattutto perché quanto vorremmo ottenere non è in fondo il nostro vero bene. È un distributore di vita intelligente il nostro Dio; non un inerte dispensatore di grazia! Non possiamo servirci di lui per scopi vani o dannosi.


Il racconto biblico dà conferma a questa impossibilità di prendersi «gioco di Dio» (Gal 6,7). Nella prima lettura vediamo come il popolo eletto un giorno scoprì come sia rischioso tentare di trascinare Dio dalla propria parte, anziché seguire la sua volontà buona. In occasione di una battaglia contro i nemici Filistei, Israele ripose fiducia in Dio, ma «Israele ebbe la peggio di fronte ai Filistei» (1Sam 4,2). Allora gli anziani si arrabbiarono e si chiesero il perché di questo castigo: «Perché ci ha percossi oggi il Signore di fronte ai Filistei?» (4,3). Allora decisero di prendere «l'arca del Signore» (4,3) e di portarla con loro bella battaglia. Tutto vano: gli Israeliti vennero nuovamente battuti dagli avversari che sembravano avere un più sincero timor di Dio (cf 4,8) e tirarono fuori tutto il loro «coraggio» (4,9). La sconfitta di Israele fu un vero e proprio castigo che Dio aveva annunciato al profeta Samuele, perché non era contento del modo con cui gli si rendeva culto. In particolare dell'atteggiamento dissoluto e ingiusto dei due figli del sacerdote Eli. Non fu un piccolo castigo: «La strage fu molto grande: dalla parte d'Israele caddero tremila fanti» (4,10).


Dio permette che talvolta nella vita si manifestino le conseguenze amare e orribili di alcune nostre scelte. Non impedisce che il nostro corpo si copra di quella «lebbra» (Mc 1,42) che ci separa dalla vita e dagli altri. Ma non è il castigo o la vendetta la sua volontà. Lo intuisce chi, dentro la sofferenza, si apre all'invocazione e alla speranza. «Se vuoi, puoi guarirmi!» (1,40), dice il lebbroso in ginocchio. E il Signore Gesù «mosso a compassione» rivela la volontà di Dio: «Lo voglio, guarisci!» (1,41).


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