Feria prima dell'Epifania – 2 gennaio

Letture: 1Gv 2,22-28 / Sal 97 / Gv 1,19-28


RINNEGARE (NOI STESSI)



Nel Natale abbiamo ricevuto tutti un grande regalo: Dio ci ha mostrato il suo sorriso e ha ravvivato la nostra coscienza di essere suoi figli. Come dice il salmo responsoriale, «tutta la terra ha veduto la salvezza del Signore», perché un bambino è all’altezza di ogni sguardo, tranne forse quello dei potenti e dei superbi. Ora è necessario custodire questo «principio» (1Gv 2,24) che può rendere nuovo l’anno appena iniziato. Infatti la tentazione potrebbe essere quella di pensare che il Natale sia solo una bella storiella che ci raccontiamo ogni anno, tanto poi la vita è ben altra cosa!


Il primo richiamo che la liturgia della parola ci rivolge è alla fede. Se vogliamo celebrare il Natale nella nostra vita dobbiamo rafforzare la nostra fede nel Cristo. Forse potrà anche apparire banale, o quasi un gioco di parole, ma ciò che le Scritture oggi ci dicono si può racchiudere in queste semplici parole: rinnegare per non negare.


Giovanni confessa e non nega: «Io non sono il Cristo» (Gv 1,20). Il profeta riconosce la sua verità senza farsi illusioni perché è capace di rinnegare se stesso, prendendo le distanze da qualsiasi nome e ruolo la sua vita abbia assunto o manifestato. Prosegue infatti dicendo di non essere né Elia, né il profeta (Gv 1,21). Affermazioni che non troverebbero nemmeno Gesù d'accordo (cf Mt 11,14; 17,13), ma che contengono una certa verità. Il Battista si concepisce solo in relazione a Colui che viene dopo di lui. Egli è solo «voce» che grida (Gv 1,23) e non Parola, per quanto sua indispensabile anticipazione.


Da Giovanni possiamo imparare a rinnegare noi stessi per non arrivare a rinnegare il Cristo che vuole nascere in noi. Rinnegare noi stessi significa non identificarsi con quello che quotidianamente il Signore ci da la grazia di compiere, né tanto meno con quello che il peccato ci spinge ad abbracciare. È un lavoro incessante, che dura in qualche modo per tutta la vita. Questo è l’impegno quotidiano che, dopo la festa di Natale, non dobbiamo esitare a fare: smetterla di metterci al posto di Dio, rinnegare con un po’ di vigore i nostri criteri spesso mondani e lasciare che sia il Vangelo la misura della nostra vita e delle nostre scelte, per non arrivare a rinnegare quel bambino nato per noi che chiede di diventare vita della nostra vita.


Certo nessuno di noi arriva a rinnegare esplicitamente a parole «che Gesù è il Cristo» (1Gv 2,22), ma coi fatti e con la vita sì purtroppo. E le conseguenze non sono da poco, perché la nostra vita può diventare a poco a poco una sottile menzogna (cf 2,22).


Se invece non neghiamo il Natale di Cristo, inevitabilmente impariamo a rimanere «in lui» (2,28), attraverso un'interiore conversione alla sua signoria nella nostra vita. Nel battesimo abbiamo ricevuto un'unzione, che ci «insegna ogni cosa» (2,27): il dono dello Spirito Santo. Dentro di noi abita una «promessa» (2,25) vera: siamo diventati figli adottivi di Dio, perché il suo nome – Padre – è nel nostro cuore come un diritto irrevocabile. In questa unzione e in questa promessa noi possiamo imparare a rimanere.


Più sapremo liberarci da noi stessi, più sapremo confessare il nostro nome nuovo, più non avremo altra gioia se non quella che unì in una profonda comunione spirituale Basilio e Gregorio, i due grandi dottori che oggi, con tutta la Chiesa, ricordiamo:E mentre altri ricevono i loro titoli dai genitori, o se li procurano essi stessi dalle attività e imprese della loro vita, per noi invece era grande realtà e grande onore essere e chiamarci cristiani’ (dai discorsi di san Gregorio Nazianzeno, vescovo).


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