XXXII Domenica del Tempo Ordinario – Anno C

Letture: 2Mac 7,1-2.9-14 / Sal 16 / 2Ts 2,16-3,5 / Lc 20,27-38

DA SADDUCEI A MACCABEI



Dopo averci mostrato il ricco Zaccheo risorgere da una vita di frode e di peccato, la liturgia domenicale ci presenta oggi il tema della risurrezione dai morti, argomento centrale della fede cristiana. Scrive infatti San Paolo: «Se non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede» (1Cor 15,13-14).


Come i sadducei

Al tempo di Gesù c’era una categoria di persone che rappresentava l’aristocrazia religiosa di Israele. Si chiamavano sadducei ed erano tanto chiusi in materia di fede, quanto aperti in ambito politico. Nell’interpretare la Bibbia si attenevano rigorosamente a quanto era scritto nella Legge di Mosè, ritenendo favole o illusioni ulteriori prospettive di fede. Al contrario, nei rapporti civili, erano molto poco tradizionalisti e offrivano volentieri la loro collaborazione al governo romano.


Dietro questa ambigua posizione, possiamo riconoscere il carattere di persone che sceglievano la via più comoda, rinunciando alla fatica di cercare e preferendo la più semplice formula del compromesso e del pensiero dogmatico. Forse rappresentano qualche tratto del nostro cristianesimo vecchio di due millenni, un po’ tradizionalista e secolarizzato.


I sadducei, un giorno, tendono un trabocchetto a Gesù per contestare la fede nella risurrezione che si stava diffondendo anche grazie ai suoi segni e ai suoi miracoli. Inventano allora il caso fittizio di una donna ammazzamariti che non riesce a portare avanti il nome del primo marito, pur rispettando la legge del levirato che imponeva ai cognati di dare una discendenza al proprio fratello (cf Dt 25,5). E domandano a Gesù: «Questa donna dunque, nella risurrezione, di chi sarà moglie?» (Lc 20,33). La risposta del Signore si articola in due parti.


«I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni dell’altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio» (Lc 20,34-36).


Con queste parole Gesù vuole dire che la risurrezione non sarà la ripresa di questa vita che già conosciamo, ma una vita assolutamente diversa. Noi spesso quando pensiamo all’aldilà usiamo le categorie di questo mondo – e non potremmo fare altrimenti! Così immaginiamo che la risurrezione sarà una super vita, finalmente affrancata da quei limiti che abbiamo sperimentato in questo mondo: una casa grandissima, tanti soldi, tanta salute, una bellissima famiglia e una splendida carriera.


Gesù sembra invece dirci che la vita subirà una grandiosa trasformazione dopo la morte. Facciamo fatica a capire cosa significa che non moriremo più perché saremo come gli angeli (chi mai ne ha visto uno?). Intuiamo però che Gesù voglia dirci che esiste in questo mondo un modo di vivere il dono della famiglia che è figlio della paura di morire, ed è quindi segnato dall’egoismo, dalla violenza, dalla divisione e dal fallimento. La risurrezione toglierà via per sempre questo male, perché ci farà diventare finalmente «figli» liberi e capaci di amare.


Naturalmente il bene e i legami che avremo costruito in questo mondo non svaniranno. Così come non resteranno eterne quelle divisioni e quelle relazioni segnate dalla sofferenza che molte coppie e famiglie sperimentano durante la vita. Dio aggiungerà la misericordia e il perdono che noi non siamo stati capaci di donarci.


«Che poi i morti risorgono, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando chiama il Signore: Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui» (Lc 20,37-38).


Gesù cerca anche di dimostrare che la risurrezione è qualcosa che le Scritture annunciavano nei tempi antichi. Lo fa in un modo un po’ complicato, citando un passo della Legge in cui Dio si rivela come qualcuno che non si dimentica dei suoi amici, come Abramo, Isacco e Giacobbe. Ma in fondo, Gesù attraverso questa tecnica rabbinica, dice una cosa molto semplice: Dio è sempre colui che vive e dona la vita, come il roveto che sempre arde e non si consuma.


Crediamo anche noi in un Dio vivo? Oppure stiamo camminando dietro ad un «Dio dei morti»? La nostra fede ci aiuta a gettarci con passione e senza paura nella vita che il Signore ci ha donato? Oppure è diventata una bara dentro la quale attendiamo gli eventi futuri con passività, incrociando le dita e pensando: ‘io speriamo che me la cavo’?


Come i maccabei

La risurrezione è un mistero che possiamo – anzi dobbiamo – già assaggiare in questo mondo, come hanno fatti i fratelli maccabei che, in tempo di persecuzione, non si sono piegati a leggi inique, ma hanno affrontato la morte con coraggio e libertà. Avere un motivo per vivere e per morire significa già entrare in una vita risorta, significa affermare che la vita in questo mondo non è tutto, non ci basta.


Crediamo nella risurrezione se viviamo da risorti, se non rinunciamo ad affrontare quelle tenebre che il nostro cammino ci pone davanti. Per la maggior parte di noi non si tratta certo di dover accettare un martirio cruento, ma di piccole scelte quotidiane, da portare avanti con semplice e luminosa coerenza.


Viviamo da risorti quando non brontoliamo davanti al telegiornale, quando non vediamo solo il negativo delle persone e delle situazioni, quando smettiamo di giustificarci e di giudicare.


Viviamo da risorti quando ritroviamo il coraggio di prendere in mano la nostra vita, così com’è, con i suoi successi e con i suoi fallimenti, e scegliamo di viverla con dignità, fedeltà e responsabilità.


Viviamo da risorti quando poi, alla fine del giorno, ci rimane qualche minuto per dire grazie e per chiedere scusa.


Questo chiede a noi il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe: di diventare piccoli roveti che bruciano senza consumarsi, fiaccole di speranza in un mondo che si è un po’ smarrito tra ingannevoli luci e passioni inutili.


A noi che forse siamo diventati pigri e teorici come i sadducei, ma portiamo ancora sotto la pelle la grinta e la fedeltà dei maccabei, perché col battesimo siamo diventati «figli di Dio, figli della risurrezione» (Lc 20,36). E... «il Signore è fedele» (2Ts 3,3)!



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