XXV Domenica del Tempo Ordinario - Anno C

Letture: Am 8,4-7 / Sal 112 / 1Tm 2,1-8 / Lc 16,1-13

LA GRANDE SCALTREZZA


Che burlone il nostro Maestro! Per donarci una parola di verità, non si fa alcun problema a indicare come esempio un certo «amministratore disonesto» che riesce a cavarsela con estrema «scaltrezza» (Lc 16,8), dopo essere stato «accusato» (Lc 16,1) pubblicamente davanti al suo «padrone» (Lc 16,8).


Perché un esempio così ambiguo, così poco devoto? Anzitutto per ricordarci che ogni fatto merita di essere guardato con attenzione, perché la realtà contiene sempre un insegnamento e una scintilla di rivelazione. Ma soprattutto perché Gesù con questa parabola vuole darci una sana ed energica strigliata: «I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce» (Lc 16,8).


Credo infatti che il nostro problema principale, come cristiani, come «discepoli» (Lc 16,1) del Rabbì di Nazaret, sia una sorta di letargia mescolata ad una certa difficoltà nel prendere decisioni. Il Vangelo di oggi vuole fare breccia in quella parte di noi che, pur avendo fiducia in Dio, rimane continuamente immobile e intorpidita, poco capace di affrontare la vita con l’audacia e la libertà del Vangelo.


È tutta per noi questa parabola. Per noi che crediamo di credere già abbastanza nel Signore Gesù.


Facciamoci furbi!

Il racconto è piuttosto chiaro e potrebbe avere numerose attualizzazioni nella nostra società. Un amministratore ha sperperato il denaro del suo padrone, presumibilmente per se stesso e i propri piaceri. Viene scoperto e licenziato. Prima di riconsegnare l’amministrazione, decide di approfittare della sua carica un’ultima volta per farsi un po’ di amici, i quali saranno certamente ben disposti in futuro a ricambiare il favore ricevuto. Il Signore loda «quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza» (Lc 16,8). Non è certo la disonestà il punto che merita l’elogio, ma la furbizia con cui l’amministratore ha saputo agire prontamente.


Il Signore trae spunto da questo fatterello di cronaca per provocare la nostra conversione al Vangelo. E ci dice: cari discepoli perché siete così poco scaltri e pronti a prendere decisioni di fronte a quella cosa assolutamente decisiva che è il Regno di Dio? L’amministratore non ha avuto esitazioni ad usare tutto il suo ingegno per salvarsi la pelle. Come mai, voi che avete addirittura incontrato la salvezza di Dio, fate così fatica a vivere con radicalità secondo i criteri del Vangelo?


Mi sembra un richiamo molto forte e puntuale anche per noi. Oggi la testimonianza della chiesa sembra vivere un tempo di grande smarrimento. I cristiani, che dovrebbero avere una marcia in più dei «figli di questo mondo» (Lc 16,8) appaiono spesso assenti dai grandi scenari della politica, dell’economia, della cultura, dell’arte. Perché siamo diventati così ininfluenti e timidi? Sta forse finendo davvero il cristianesimo!


Personalmente non credo, anche se sicuramente un certo cristianesimo e una certa chiesa stanno vivendo una epocale trasformazione che non riusciamo ancora a comprendere e interpretare. Forse sottovalutiamo un po’ questa situazione e non riusciamo a scorgere l’emergenza religiosa che la nostra società sta vivendo. A volte mi sembra che le nostre comunità assomiglino all’orchestrina sulla nave che sta affondando, la quale ignara si chiede: che pezzo suoniamo dopo? Come mai non riusciamo a deciderci per il Vangelo e a infiammare ancora una volta il mondo con la forza dello Spirito di Dio?


Probabilmente la risposta a queste domande l’ha già suggerita Gesù, subito dopo aver raccontato la parabola: «Non potete servire a Dio e a mammona» (Lc 16,13). La verità è spesso semplice, e il Signore non ha mai paura di dircela: abbiamo ancora il piede in due staffe! La nostra volontà non è stata ancora plasmata pienamente dal Vangelo. Proviamo ad essere cristiani, portando avanti qualche gesto religioso (Messa, preghiere, ecc.), ma nel contempo viviamo esattamente con lo stile e i criteri degli altri, che una fede non ce l’hanno neppure. Diciamo di seguire un Re povero, però ‘i soldi aiutano a vivere meglio’. Professiamo la fede nella risurrezione, ma diciamo spesso che ‘la salute è la cosa più importante’. Il risultato è una testimonianza un po’ annacquata, che non convince nessuno. Nemmeno noi.


La cosa più sgradevole è poi che in questo modo ci lasciamo vivere e perdiamo il tempo presente. Passiamo i primi quarant’anni, aspettando quello che ci sarà dopo. E gli ultimi quaranta a rimpiangere quello che è stato prima. Ma l’unica vita che abbiamo è il tempo presente, nel quale possiamo fare scelte coraggiose, ispirate al Vangelo, in comunione con Dio e con il suo Spirito che ci abilita a compiere anche passi difficili.


La nostra realtà

Conviene allora ricordarci innanzitutto che siamo amministratori, perché non possediamo niente e tutto riceviamo. Inoltre partecipiamo tutti di una certa ingiustizia sociale, che il Vangelo definisce «iniqua ricchezza» (Lc 16,9). La ricchezza rimane ingiusta finché è distribuita male, e poi perché inganna promettendo quello che non può dare.


Il mondo nel quale viviamo continua a essere poco equo e poco solidale! Preghiamo allora «per i re e per tutti quelli che stanno al potere» (1Tm 2,2). A nulla serve brontolare o insultarli. Ma pregare non basta: dobbiamo assumerci le nostre piccole, importantissime responsabilità quotidiane!


Come ci ricorda il profeta Amos, mentre una parte dell’umanità banchetta e sorride, l’altra metà piange e soffre. Ormai lo sappiamo che molto del nostro benessere è possibile a scapito di tanti poveri che vengono calpestati e di altri umili che vengono sterminati.


Questo non è affatto il sogno di Dio, il quale – ci ricorda san Paolo – «vuole che tutti gli uomini siano salvati» (1Tm 2,4) e che insieme, come fratelli, «possiamo trascorrere una vita calma e tranquilla con tutta pietà e dignità» (1Tm 2,2).


Il sogno di Dio

Il Signore ci ha chiesto di amministrare bene una manciata di cose che costituiscono la nostra vita: il corpo, la salute, la famiglia, il lavoro, gli amici, un po’ di soldi, un po’ di anni... Perché non diventiamo furbi e decidiamo di usare bene queste cose che ora abbiamo e presto dovremo riconsegnare? Ad esempio condividendole e procurandoci «amici» (Lc 16,9)!


Questa situazione di ingiustizia un giorno finirà; Dio ci ha rivelato con estrema chiarezza qual è il suo sogno: un regno che ribalterà gli schemi di questo mondo, dove gli ultimi entreranno per primi e i peccatori intoneranno i canti di lode e di ringraziamento prima di tutti.


Perché non ci facciamo un po’ furbi e smettiamo di fari i furbi con Dio? Perché questo sogno di Dio non cominciamo a costruirlo adesso e a qualsiasi costo?


Siamo «figli della luce» (Lc 16,8), siamo stati illuminati dalla parola del Vangelo. Sappiamo che Dio è un padre folle ed esagerato, che ci dona tutto e anche se stesso. Decidiamo di vivere secondo la logica del dono e non del possesso! Ricominciamo a dire grazie per quello che la vita ci sta dando e osiamo fare scelte coraggiose che ci svuotano le tasche e ci riempono il cuore.


Se saremo fedeli in quel «poco» (Lc 16,10) che ogni giorno potremo fare, avremo fatto tutta la nostra parte per cambiare il mondo e la storia. Avremo compiuto un passo verso il Regno insieme a tanti fratelli.


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