Giovedì - XXIII Tempo Ordinario

Letture: Col 3,12-17 / Sal 150 / Lc 6,27-38

AMARO AMORE



La tensione verso l’alto che le Scritture hanno suscitato nei giorni scorsi diventa oggi vertiginosa: l’amore a cui siamo chiamati è vero quando è amaro, cioè quando non si ferma di fronte all’indifferenza o al rifiuto. Il Signore Gesù nel Vangelo non ha alcuna esitazione a dirci fino a che punto può spingersi la nostra carità: «Amate i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla» (Lc 6,35).


Sono parole bellissime, che ci mostrano un amore immenso e gratuito. Tuttavia facciamo fatica a credere di poterle davvero mettere in pratica. Nell’amore restiamo sempre un po’ degli illusi: vorremmo imparare ad amare, però non siamo disposti ad accettare tutte le conseguenze che la scelta di farlo porta con sé. Restiamo un po’ paralizzati dentro un circolo vizioso: più amiamo e più ci capita di soffrire; più soffriamo e più ci passa la voglia di amare.


D’altronde questa parte di Vangelo non è certo facoltativa. Non esiste altro modo per diventare figli di Dio se non l’essere «misericordiosi, come è misericordioso il Padre» (Lc 6,36), perché l’Altissimo «è benevolo verso gli ingrati e i malvagi» (Lc 6,35).

Come fare? Da dove ricominciare?


San Paolo coniugando bene la tensione ideale ad un sano realismo suggerisce di sopportarci «a vicenda perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri» (Col 3,13). È vero: ogni giorno abbiamo qualcosa e qualcuno per cui lamentarci, però il ragionamento di san Paolo ci mette al muro. Il Signore vi ha voluto bene? Vi ha perdonato i peccati? Benissimo, fate altrettanto! Cominciate dal perdono, scusate senza condizioni gli altri per quello che sono e per quello che fanno.


Il Signore sa bene quanto è difficile amare quando di fronte c’è il muro dell’odio o dell’indifferenza, per questo non ci chiede di simulare gioia e serenità quando prevale il rancore, l’odio e la stanchezza. Si limita ad ordinarci la pratica del perdono, che può esprimersi in molti atteggiamenti: «bontà», «umiltà», «mansuetudine», «pazienza» (Col 3,12), ma soprattutto nella scelta di sopportarsi ancora una volta.


Non è facile, ma se vi rinunciamo «la pace di Cristo» non può regnare «nei nostri cuori» (Col 3,15). Allora è meglio sostenerci a vicenda, ammaestrandoci e ammonendoci «con ogni sapienza, cantando a Dio di cuore e con gratitudine salmi, inni e cantici spirituali» (Col 3,16). Proprio nella preghiera fatta insieme il nostro uomo vecchio si trasforma in una nuova creatura. Allora, quasi senza accorgercene, diventiamo «santi e amati» da Dio e ricominciamo a sentire in noi i suoi stessi «sentimenti di misericordia» (Col 3,12), che ci spingono da dentro a vivere l’amaro amore del Vangelo.


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