XVIII Domenica del Tempo Ordinario - Anno C

Letture: Qo 1,2; 2,21-23 / Sal 94 / Col 3,1-5.9-11 / Lc 12,13-21

SOFFIO DI DIO


Il tema di fondo di questa domenica potrebbe aiutarci a verificare quanto abbiamo assimilato della Parola di Dio ascoltata domenica scorsa. Il Maestro Gesù, insegnandoci ancora una volta come pregare, ci aveva infatti ricondotto all’essenziale. Poche cose sono necessarie – sembra dirci la preghiera del Padre nostro – anzi una: avere l’amore di Dio dentro di noi, cioè il suo Spirito.


Chiediamoci con molta libertà: stanno davvero così le cose? La nostra vita è realmente in cammino verso questa povera ricchezza, dove l’Amore è tutto ciò che desideriamo?


La liturgia di questa settimana, con lucida sapienza, ci costringe a trovare una risposta a questi interrogativi facendoci riflettere sul rapporto che abbiamo con i beni di questo mondo, fino a riconoscere per quale «eredità» (Lc 12,13) stiamo vivendo, e con quale «abbondanza» (Lc 12,15) stiamo cercando di placare la fame del «cuore» (Qo 2,22).


Che tristezza!

L’antico predicatore dice il vero: siamo un soffio. Le parole del Qoèlet nel loro accentuato cinismo colgono il segno: la vita sembra una fatica vana, una bolla di sapone che presto o tardi svanisce. «Allora», si domanda l’Ecclesiaste, «quale profitto c’è per l’uomo in tutta la sua fatica e in tutto l’affanno del suo cuore con cui si affatica sotto il sole?» (Qo 2,22). Potremmo rispondere: nessuno! E difatti riusciamo a trasformare il regalo dei nostri giorni in una agitata successione di «dolori e preoccupazioni penose» fino a non avere più il riposo «neppure di notte» (Qo 2,23).


Nessuno è preservato dalla parziale ma indiscutibile verità di queste considerazioni, che prima o poi capita di fare e di ascoltare. Siamo così pervasi da una velenosa tristezza, che riesce a togliere il nerbo ad ogni cosa che facciamo. Purtroppo la curva evolutiva di questa pericolosa accidia non si ferma ad uno spiacevole stato d’animo, ma cerca di orientare le nostre scelte e le nostre azioni, sollevando nel nostro cuore «passioni, desideri cattivi e quella avarizia insaziabile che è idolatria» (Col 3,5). Così alla tristezza si aggiunge pure la stupidità.


Che stoltezza!

Rabbì Gesù si accorge subito di questo problema nei due fratelli che litigano per una questione di «eredità» (Lc 12,13). Senza esitazioni, sposta l’oggetto della discussione sul punto essenziale: «Tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni» (Lc 12,15).


Dio si accorge della sottile trappola in cui cadiamo noi tutti, figli di Qoèlet e ingenuamente schiavi delle cose «della terra» (Col 3,2). Dal momento che tutto è vanità ecco quale geniale espediente il nostro cuore escogita: «Farò così: demolirò i miei magazzini e ne costruirò di più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia» (Lc 12,19). Visto che si deve morire, almeno accumuliamo un po’ di divertimento e di benessere! Che grande illusione cercare di appoggiare la nostra vita sulla bolla di sapone dei beni di questo mondo! Eppure in questo ingannevole ragionamento ci cadiamo tutti con estrema facilità.


Sappiamo bene che non possiamo trattenere niente nelle mani, ciò nonostante non smettiamo mai di vivere per accumulare, rimandando a domani la gioia del ringraziamento e del godimento dei beni che il Signore ci ha dato.


«Stolto» (Lc 12,20) dice Dio! Perché progetti il futuro che è l’unica cosa di cui ‘non v’è certezza’? Inoltre: perché continui a raccogliere briciole per terra, anziché iniziare ad arricchirti «davanti a Dio» (Lc 12,21)? Cercare di appoggiare la nostra vita sui beni effimeri di questo mondo è doppiamente stupido dal momento che Dio ha ormai deciso di spalancare le porte dei suoi eterni beni, per la nostra gioia e per la nostra vita. E questa speranza ormai «si è adempiuta» (Lc 4,21) per sempre!


Che fare?

Riconoscere anzitutto che questa Parola ci smaschera tutti e fare, di conseguenza, un sincero esame di coscienza. Senza inutili sensi di colpa. Ma anche senza i soliti sconti e condoni che sempre applichiamo al caso particolare della nostra vita.


Siamo tutti complici di un modo di pensare che ci induce a leggere la nostra vita come un’opportunità mancata. Per questo consumiamo senza gratitudine e senza misura i beni di questo mondo, rinunciando a pensare e ad attendere «le cose di lassù» (Col 3,1), che non sono certo gli angioletti e le nuvolette della pubblicità, ma quella vita bella e generosa che il Cristo ci ha mostrato nel trono alto della croce.


E poi rimetterci in cammino. In silenzio. In gioiosa umiltà.

Siamo pellegrini verso un regno che quaggiù è soltanto iniziato.

Siamo discepoli di un Maestro morto, risorto e asceso al cielo.

Siamo soffio leggero di un Dio che si toglie il respiro per darlo a noi.

Perché il suo amore sia «tutto in tutti» (Col 2,11).

Wow!



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