Venerdì - XVI Tempo Ordinario

Letture: Es 20,1-17 / Sal 18 / Mt 13,18-23

LA LEGGE DEL SEME



È piuttosto interessante l’accostamento che la liturgia oggi propone, facendoci ascoltare il dono della legge ad Israele – il cosiddetto ‘decalogo’ (Es 20,1-17) – e la spiegazione della parabola del seminatore (Mt 13,1-23), che il maestro Gesù rivolge ai suoi discepoli in forma privata (cf Mt 13,11).


Dio regala al popolo uscito «dal paese d’Egitto» tutte le «parole» che possono tutelarlo da quella «condizione di schiavitù» (Es 20,2) che gli ha impedito di camminare verso la libertà e la vita. Questa è la motivazione semplice ed essenziale della Legge: la premura del Padre nei confronti di un popolo che egli vede come figli «amati, santi e diletti» (Col 3,12). Il Signore non si limita a riscattare le sue creature, ma si preoccupa di dargli un libretto di istruzioni, per potersi orientare nel cammino della vita.


Bello, favoloso! Perché allora la storia dell’umanità – non solo ebraica – ci mostra una certa difficoltà a vivere la Legge con riconoscenza e responsabilità? Per il semplice motivo che, cercando di osservare la legge, l’uomo si scopre incapace e incostante. Incagliato in una trama fastidiosa di limiti personali, l’uomo si innervosisce e comincia a guardare con sospetto il dono della legge. La legge mette a nudo la durezza e la fragilità della nostra condizione umana, come san Paolo dice bene nella lettera ai Romani: «Io non ho conosciuto il peccato se non per la legge, né avrei conosciuto la concupiscenza, se la legge non avesse detto: Non desiderare» (Rm 7,7).


In questa situazione di debolezza, nella quale siamo tutti coinvolti, ci accade una cosa alquanto strana. Anziché lavorare pazientemente sulle poche (!) parole che Dio ci ha rivelato, dilatiamo senza senno il numero delle leggi da rispettare, nella speranza che diluendo gli obiettivi migliorino le cose. Divide et impera? Nemmeno per sogno! Il risultato è che aumentiamo soltanto i comandi che imperano diabolicamente sulla nostra volontà, già fragile e umiliata.


Per fortuna c’è il Vangelo! Il Signore Gesù è venuto a spiegarci il senso delle parole di Dio, da assumere anzitutto nella loro globalità. Sta scritto infatti nel libro dell’Esodo: «Dio pronunciò tutte queste parole» (Es 20,1). Il Maestro ci spiega che le parole di Dio vogliono essere una «luce di gioia» (cf salmo responsoriale), ma funzionano come un seme. Un seme sa in che direzione svilupparsi, perché il seme contiene già il fiore. Però si sviluppa gradualmente. Conosce la stanchezza, la lentezza, l’irregolarità che caratterizzano ogni autentica maturazione.


La parabola ci fa capire che il problema della legge è un problema di interiorizzazione. Solo quando la parola/norma viene capita in profondità, attraverso lo studio e la pratica di vita, allora essa porta il suo bel frutto: «e produce ora il cento, ora il sessanta, ora il trenta» (Mt 13,23). Prima invece può conoscere la assoluta incapacità di attecchire, lo scandalo che suscita in noi il tentativo di viverla, oppure la sterilità a cui inevitabilmente andiamo incontro finché teniamo sul comodino i pericolosi idoli della «preoccupazione del mondo» e «dell’inganno della ricchezza» (Mt 13,22).


Ritorniamo dunque ad accogliere con docilità la chiamata a vivere la legge di Dio, come la terra fa con il seme. Accettiamo di rimanere discepoli che maturano secondo un legge di gradualità. Dio ci ha raccontato il suo sogno e lo ha fatto fino alla fine, donandoci il suo Figlio, nel quale risplende tutto il suo volto di Padre. Lo ha fatto attraverso «tutte» le parole che finora hanno seminato il terreno della nostra vita. E continuerà a farlo, secondo la sua volontà.


Alcune di queste parole ci sono amiche e maestre, orientano e guidano i nostri passi, ogni giorno. Altre le abbiamo assunte e maturate nella libertà, durante il percorso che la vita ci ha permesso di compiere. Molte di più le abbiamo respirate, ereditate, acquisite da quel grembo sociale e familiare che ci ha generato. Alcune sono piuttosto vere. Altre lo sembrano soltanto.


Perché non provare oggi a metterle un po’ a fuoco? Fermandoci qualche minuto. Chiedendoci per chi e per cosa stiamo sudando sotto il cielo, in questa estate ormai feconda dei suoi frutti di caldo? Chiedendoci – sinceramente! –: dove stiamo andando?


Commenti

Anonimo ha detto…
Quando penso a come sono o al mio futuro, in prima battuta penso di avere le idee perfettamente chiare, ma basta una piccola domanda "dove sto andando" per rendere quasi nebulosa quella assoluta certezza.

Quando penso alla mia fede penso ad un continuo cammino, ma concentrandomi sul concetto "dove sto andando" mi è venuto alla mente il gioco delle freccette. Quando riesci a fare centro credi che non potrai più fallire e invece ad ogni lancio devi metterci tutto te stesso per riuscire a fare centro.

Un pò come nel gioco delle freccette ogni giorno cerco di mettere in equilibrio il tempo da dedicare al lavoro, agli altri a me stesso, a Dio. Credo di essere molto lontano dal mettere Dio sempre al centro della mia vita, ma desidero almeno fare lo sforzo di osservare quale punto del bersaglio ho colpito per porre rimedio al tiro successivo cercando di fare meglio.

Mimmo