Venerdì - XIII Tempo Ordinario

Letture: Gen 23,1-4.19; 24,1-8.10.62-67 / Sal 105 / Mt 9,9-13


CHI-AMA DIO?



Dio chiama? Dio chi-ama?

Tutti. C’è stato bisogno di una lunga preparazione, ma alla fine – in Cristo – abbiamo avuto la rivelazione di questo divino mistero, che le Scritture del Testamento Nuovo esprimono con estrema chiarezza: «Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità» (1Tm 2,4), «Cristo Gesù ha dato se stesso in riscatto per tutti» (1Tm 2,5-6), «il Dio vivente è il salvatore di tutti gli uomini» (1Tm 4,10), «Gesù ha provato la morte a vantaggio di tutti» (Eb 2,9), «è apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini» (Tt 2,11). Esiste in Dio un’unica volontà, un solo progetto: farci diventare «figli adottivi per opera di Gesù Cristo» (Ef 1,5). Non c’è altro nel cuore dell’invisibile Dio. Questo è il suo struggente desiderio, la parola che pronuncia continuamente su ogni vita che è sotto il cielo.


Eppure non tutti gli uomini si sentono amati e chiamati; al contrario molti sperimentano la solitudine e l’abbandono. La complessa e tormentata storia dell’umanità sembra addirittura essere un’epopea interminabile dove gli uomini si dividono in buoni e cattivi. Questa sensazione getta un certo imbarazzo nei nostri pensieri, incrina un po’ le nostre speranze.


Ciò che emerge dalle Scritture di oggi viene in soccorso a questo nostro disagio, mostrandoci come da parte di Dio le cose siano in fondo più semplici. Dio chiama tutti gli uomini, perché ogni uomo è oggetto del suo infinito amore. Ma solo chi si dimostra bisognoso riesce ad ascoltare e a seguire questa divina voce.


Abramo alla fine della sua vita è diventato un povero autentico. Durante il suo pellegrinaggio di speranza si è abituato ad ascoltare Dio e a ricevere ogni cosa dalle sue mani. I suoi atteggiamenti, in prossimità della morte, ci rivelano quanto l’ascolto e la capacità di affidarsi abbiano plasmato la sua intera esistenza: Abramo riceve dagli Hittiti il sepolcro per la moglie Sara, è costretto a chiedere aiuto al servo per trovare una degna moglie al figlio Isacco, invoca e attende la continua assistenza di Dio, che sicuramente «manderà il suo angelo» ai suoi servi perché «ha parlato» e «ha giurato» (Gen 23,7).


Nel Vangelo è la figura di Matteo, il pubblicano, ad incarnare i tratti dell’uomo che è capace di ascoltare la chiamata di Dio. Che cosa abilità quest’uomo «seduto» ad alzarsi per seguire il Signore Gesù? Semplicemente il suo essere, in un modo piuttosto esplicito, parte del gruppo dei «pubblicani» e dei «peccatori» (Mt 9,11), le persone che nella loro vita esprimevano atteggiamenti in aperto contrasto con la legge di Dio.


Le parole che Gesù pronuncia nel Vangelo sono il filtro irremovibile che Dio ha posto tra noi e il dono gratuito del suo amore: «Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mt 9,13). L’amore e la voce di Dio non possiamo comprarla, progettarla, meritarla ma – soltanto – riceverla per dono. Dal momento che ci troviamo tutti immersi in una storia segnata dal male e tutti viviamo dell’aria che si respira non possiamo che riconoscerci peccatori per ascoltare questa voce di «misericordia» (Mt 9,13). E questo non significa che dobbiamo vestirci di sacco e convertirci ad una spiritualità pessimista e negativa, che ci propone di chinare un po’ il capo per accattivarci i doni di Dio. Più semplicemente questo radicalismo evangelico è l’invito schietto e deciso a riconoscere che la nostra vita fallisce ogni giorno il suo obiettivo, che «tutti quanti manchiamo in molte cose» (Gc 3,2), che tutti «siamo privi della gloria di Dio» (Rm 3,23) che dovrebbe risplendere nei nostri gesti, nelle nostre parole e nei nostri pensieri.


Non sappiamo bene perché le cose stiano così. Eppure ogni giorno ci troviamo addosso questi panni sporchi. Possiamo cercare di nasconderli e liberarcene, mettendoci al riparo anziché uscire allo scoperto come Abramo, oppure rifugiandoci dietro a una condotta morale buona e decorosa, come «i farisei» (Mt 9,11). Diversamente possiamo scegliere di aprire «la porta stretta» (Mt 7,13) del Vangelo: riconoscerci «malati», bisognosi del «medico» (Mt 9,12) e aspettare con pazienza il nostro turno, quando la voce di Dio che ci chiamerà finalmente per nome: «Seguimi» (Mt 9,9).



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