Giovedì - XIII Tempo Ordinario

Letture: Gen 22,1-19 / Sal 115 / Mt 9,1-8


LA LEGATURA



La pagina della Genesi che oggi la Chiesa ascolta e prega non può che suscitare nel lettore di ogni tempo un certo imbarazzo. Appare crudele un Dio che domanda ad Abramo di sacrificare il suo figlio – il suo unico figlio – sebbene tutto ciò risulti essere alla fine solo una «prova» (Gen 22,1) in vista di una «benedizione» (Gen 22,17), che si estende a «tutte le nazioni della terra» (Gen 22,18).


Abbiamo definito questo episodio «il sacrificio di Isacco» (cf Bibbia di Gerusalemme), anche se a ben vedere il vero sacrificio è quello di Abramo, a cui è chiesto di offrire il figlio, dono tanto atteso e sospirato. Forse il nome più adeguato a ‘contenere’ il mistero narrato in questi sacri versi è quello che i nostri fratelli maggiori – gli ebrei – gli hanno assegnato: l’aqedah, cioè la legatura di Isacco. Infatti l’unica cosa che succede è proprio la deposizione del figlio legato sull’altare da parte di Abramo: «legò il figlio Isacco e lo depose sull’altare» (Gen 22,9).


Sarebbe ingenuo ignorare che la pratica di sacrificare i primogeniti era in uso in Israele nell’antichità. D’altro canto ridurremmo la narrazione biblica ad una banalità se il suo significato non fosse altro che comunicare il mutamento dal tempo in cui bisognava sacrificare a Dio i figli a quello in cui è sufficiente offrire il sangue degli animali.


Il testo dice molto di più: «L’audacia del racconto è di attribuire a Dio l’antica imposizione. Come se Dio dicesse: tu hai dato di me questa immagine di crudeltà, ma sono venuto ad abitarla perché non c’era altro modo per liberartene» (Paul Beauchamp). La sacra narrazione vuole dirci che quel Dio «capace di far risorgere anche dai morti» (Eb 11,19) ha scelto di camminare sin dal principio con l’uomo peccatore, bisognoso di ritrovare la «fede» (Eb 11,17) nella promessa e nella benedizione originarie. Scrive l’autore della lettera agli Ebrei: «Per fede Abramo, messo alla prova, offrì Isacco e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unico figlio, del quale era stato detto: In Isacco avrai una discendenza che porterà il tuo nome. Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe e fu come un simbolo» (Eb 11,17-19).


Dopo la venuta del Cristo, non abbiamo più dubbio alcuno sul fatto che Dio non voglia che la nostra vita sia legata dal peccato o dalla morte: «Coraggio, figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati» (Mt 9,2). Il suo desiderio è farci ascoltare l’imperativo di vita: «Alzati e cammina» (Mt 9,5). Eppure anche a noi capita di dover entrare «nel territorio di Moria» (Gen 22,2) e salire sul monte dove la vita sembra sfuggire dalle nostre mani e dalle nostre speranze. Il volto di Dio appare improvvisamente minaccioso quando la sua volontà sembra soltanto ratificare gli avvenimenti dolorosi e tristi che hanno segnato la nostra vita: un matrimonio fallito, il dono mancato di un figlio, la perdita o la rottura di alcuni legami, una malattia, un dolore nel cuore che non passa... I rapporti che non abbiamo saputo costruire o custodire gettano in noi il sospetto che Dio ci chieda di rinunciare alla vita che ci ha donato.


Ma forse alcuni legami nella vita hanno bisogno di entrare nello spazio della «prova» per divenire autentici. Varcando la soglia di questo misterioso spazio, abbiamo come la sensazione che essi vengano legati e sottratti al nostro controllo. Ma poiché Dio è vita che si dona e Padre che «provvede» (Gen 22,14), quando chiede è solo per restituire. Così ci può accadere di uscire dalla prova con le mani ancora piene, colme di un dono diventato altro nel frattempo. Non più opera delle nostre mani, ma benedizione per noi e per gli altri. Vita che non ci appartiene.


Commenti

Anonimo ha detto…
Ogni volta che leggo questo brano sono impressionato dal coraggio o meglio dalla fede di Abramo e dalla fiducia che ripone in Dio il quale, se chiede, restituisce.

Molto spesso ho recriminato su avvenimenti dolorosi della mia vita ed ho avuto la sensazione di essere derubato quando un'amiciza intensissima esolida si è improvvisamente dissolta, ma guardando alle conseguenze a lungo termine di quelle perdite mi sono reso conto che senza di esse non avrei fatto altre scelte che mi hanno fatto incontrare altre persone straordinarie e mi hanno fatto guardare alla mia vita quotidiana sotto una luce diversa.

Non credo che queste esperienze mi renderanno semplice affrontare altri dolori, ma forse la speranza che siano l'inizio di un nuovo e fruttuso cammino mi aiuterà ad affrontarli con fiducia e consolazione.