XI Domenica del Tempo Ordinario - Anno C

Letture: 2Sam 12,7-10.13 / Sal 31 / Gal 2,16.19-21 / Lc 7,36-8,3


SIAMO ALTRO



Dio, che non si stanca mai «di usarci misericordia» (cf Colletta), solleva in questa liturgia domenicale un tema impegnativo: il peccato. Parlarne per noi è oggi piuttosto difficile: corriamo il rischio di metterci in due atteggiamenti completamente diversi ma ugualmente sbagliati. Ci è infatti accaduto quello che succede all’elastico quando lo si tira troppo e poi va a finire dalla parte opposta. Siamo passati da un’epoca in cui si sottolineava troppo il peccato, ad un’epoca – la nostra – in cui il peccato sembra non esistere più. Senza dubbio insistere troppo sul peccato come si è fatto in passato non è evangelico. Il peccato c’è e bisogna parlarne, ma non deve diventare un’ossessione. Al contempo fa un po’ sorridere l’ingenuità che viviamo al giorno d’oggi, per cui se proprio non sei un terrorista o un pedofilo, allora il peccato non è cosa che ti riguarda. La verità, molto probabilmente, è che siamo tutti un po’ inclini ad assolverci e a giustificarci, o a sostenerci a vicenda nelle debolezze e miserie di tutti i giorni.


Il problema in realtà sta nel fatto che il peccato riguarda il nostro rapporto con Dio, perciò è necessario ascoltare la sua parola per poterne parlare correttamente. Le Scritture scelte per questa domenica ci aiutano offrendoci alcune fotografie preziose dell’esperienza che l’uomo fa del peccato.


Dal racconto del secondo libro di Samuele vediamo anzitutto che il peccato è qualcosa che l’uomo tende a nascondere. Il profeta Natan deve ricorrere ad una storiella per riuscire a smascherare il re Davide, adultero e omicida, dicendogli: «Tu sei quell’uomo!» (2Sam 12,7). Allora Davide si pente e si lascia umiliare da questa giusta accusa, confessando: «Ho peccato contro il Signore!» (2Sam 12,13). Ed ecco la grande rivelazione: quando l’uomo si riconosce peccatore davanti a Dio non è più la morte il suo destino. Dice il profeta a Davide: «Il Signore ha perdonato il tuo peccato; tu non morirai» (2Sam 12,13). La stessa esperienza viene attestata dalle parole di san Paolo, che dopo aver compreso che «dalle opere della legge non verrà mai giustificato nessuno» (Gal 2,16) si converte alla grazia del Vangelo e arriva a dire: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20). Nel brano evangelico queste dinamiche si presentano nelle figure della peccatrice e del fariseo. L’una con una pubblica situazione di peccato, eppure amante e piangente ai piedi del Signore. L’altro apparentemente giusto, ma freddo e senza misericordia seduto a mensa con il Maestro.


Queste immagini bibliche ci aiutano a capire una cosa importantissima. Di fronte al peccato la nostra reazione e quella di Dio sono radicalmente diverse. Noi diciamo: ‘Oh mamma mia, che cosa orribile!’. Un po’ come il fariseo che vedendo la peccatrice ai piedi di Gesù si scandalizza e pensa tra sé: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi e che specie di donna è colei che lo tocca: è una peccatrice» (Lc 7,39). Noi vediamo il peccato – soprattutto quello degli altri – come una cosa spaventosa con la quale non entrare in contatto. Dio invece osserva il nostro peccato e cerca di portarlo alla luce dicendoci: ‘coraggio, non identificarti con quello che hai fatto, tu sei altro!’, hai sbagliato, ma non sei un fallito.


Al tempo di Gesù i peccatori pubblici erano guardati con uno sguardo di terribile giudizio; chi li toccava diventava impuro e non poteva partecipare al culto a Dio. Insomma chi sbagliava era guardato dall’alto al basso, senza pietà! Oggi la nostra società sembra molto più aperta e comprensiva, ma in fondo è ugualmente incline al giudizio. Certo, in apparenza siamo tutti molto bravi a non giudicare (per paura) le persone che abbiamo davanti, ma a creare continuamente le categorie dei cattivi (per sollevarci la coscienza): i preti pedofili, gli immigrati stupratori, i no global, Bush, ecc. Dio invece non è né aperto, né giudicante: è interessato a noi e continua ad osservare come viviamo e quali sono le conseguenze delle nostre scelte. Il Signore si preoccupa di verificare come stiamo vivendo, se stiamo male o bene, non se siamo buoni o cattivi. Per questo quando pecchiamo è pieno di iniziativa nei nostri confronti. Perché per lui peccare non significa anzitutto trasgredire una norma, ma fallire il bersaglio, sbagliar-si. Non sbagliare qualcosa, ma sbagliare sé, non realizzarsi.


Cioè: Dio ci ha creato, ci conosce bene, sa come funzioniamo. Sa cosa ci costruisce e cosa ci distrugge, cosa ci rende felici e cosa ci rende infelici. Allora ci parla, ci dona la legge, ci guida con il suo Spirito, perché sa bene che il peccato è male perché ci fa del male, ci porta alla distruzione, ci allontana da noi stessi e da Dio.


A Dio non importa tanto rintracciare le cause del peccato, ma guarirci. Egli sa che siamo un capolavoro, anche se noi spesso ci accontentiamo di essere uno scarabocchio. Dovremmo essere noi i primi a tirare fuori il peccato, le parti oscure, le violenze, i giudizi, tutte le cose brutte che ci portiamo dentro. E invece quando andiamo a confessarci ragioniamo come nella dichiarazione dei redditi: meno dichiaro meno pago. E non abbiamo capito nulla di cosa è il perdono. Il perdono dei peccati è la possibilità che Dio mi da di essere totalmente nuovo, di essere nella sua pienezza, nella sua tenerezza, di essere guarito e nella pace.


Oggi la nostra società sembra essersi finalmente liberata da leggi e morali, eppure c’è tanto dolore e sofferenza nelle nostre famiglie, nelle storie d’amore, nella vita di tutti. La gente continua ad essere travolta dalle proprie emozioni, dalla propria fragilità, dall’incapacità di scegliere. Questo è uno vero peccato!


Riconoscere invece che possiamo fallire il bersaglio è in qualche modo anche riconoscere la nostra dignità. Dio ci parla ancora una volta del peccato perché riconosce in noi questa dignità, il nostro essere a sua immagine e somiglianza. Non ci vuole certo umiliare, ma desidera dirci che siamo altro, rispetto a quello che noi pensiamo o ai giudizi del mondo: siamo figli amati e sempre accolti dal suo amore fedele.


Non rassegnamoci all’idea che siamo peccatori.

Che non valiamo un tubo.

Che la nostra vita ha già dato il meglio o il massimo che poteva.

Siamo altro!

Questo è il sogno di Dio.

Siamo santi, ma non ci crediamo ancora.

Dio sì.

Dio lo crede già.



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