Sabato - VIII Tempo Ordinario

Letture: Sir 51,12-20 / Sal 18 / Mc 11,27-33

COLPEVOLE IGNORANZA



Esiste una ‘dotta’ ignoranza, apprezzabile e sincera, che può diventare il fondamento solido di un sistema di pensiero o di un atteggiamento di fronte alla vita. Filosofie antiche (Socrate) e (post)moderne (pensiero debole) ne danno testimonianza, come anche i sacri libri del Primo Testamento. Il giovane Yeshua ben Sira ha ricercato «assiduamente» (Sir 51,13) la sapienza «nella preghiera» (Sir 51,13) per «metterla in pratica» (Sir 51,18) e allenarsi «in essa» (Sir 51,19).


Ma esiste anche un’ignoranza colpevole, del tutto priva di aperture verso l’esterno, nella quale ci trinceriamo volentieri, per non essere costretti a rivedere con onestà la nostra vita e le nostre scelte. Di questa paralizzante insipienza sembrano affetti «i sommi sacerdoti, gli scribi e gli anziani» (Mc 11,27) che vorrebbero conoscere «quale autorità» (Mc 11,28) possiede il Maestro Gesù. C’è un pericoloso difetto nella loro curiosità, nel loro desiderio di conoscere; il Signore non esita a denunciarlo attraverso una domanda: «Il battesimo di Giovanni veniva dal Cielo o dagli uomini?» (Mc 11,30). Cioè: siete disposti a convertirvi oppure no? Le autorità religiose di Israele infatti avevano mantenuto un atteggiamento freddo e distaccato di fronte al fermento di conversione attivato dalla predicazione del Battista. Per questo Gesù li mette davanti alla responsabilità dei segni con cui Dio ha già cominciato ad annunciare loro l’autorità del Cristo.


Di cosa è colpevole questa ignoranza? Credo di una cosa soltanto: di voler conoscere senza coinvolgersi e lasciarsi mettere in discussione. Per alcune cose questo atteggiamento è non solo possibile ma anche conveniente. Ma per quella conoscenza che è la verità della vita, assolutamente no. Non esiste altra via per conoscere il nostro mistero e quello di Dio se non entrare in un atteggiamento di apertura e di disponibilità al confronto. Un atteggiamento che nel linguaggio della Bibbia si chiama fede.


Ci accade spesso di esserne privi e per questo «non sappiamo» (Mc 11,33) con quale autorità il Signore governa la nostra vita e non riusciamo a comprendere le sue scelte e la sua passività. È la nostra chiusura in quelle poche certezze di cui ci siamo convinti che ci impedisce di accedere ad una più grande comprensione della realtà che stiamo vivendo e della storia che il Signore sta costruendo con noi.


In questi casi Dio non può che attendere e sollecitare con parole, avvenimenti e angeli la nostra libertà ad aprirsi, verso una conoscenza più grande e una fede meno timorosa. «Neanch’io vi dico con quale autorità faccio queste cose» (Mc 11,33) risponde laconicamente il Signore Gesù ai suoi maliziosi interlocutori.


Non ha paura di abbandonarli nel recinto chiuso della loro colpevole ignoranza, fino al giorno in cui saranno disposti ad un coinvolgimento più personale con un Dio che non vuole nasconderci nulla, ma farci entrare nella comunione con la sua volontà di amore.


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