Giovedì - XII Tempo Ordinario

Letture: Gen 16,1-12.15-16 / Sal 105 / Mt 7,21-29


LA VOCE DI SARA



Dovremmo essere tutti piuttosto avvantaggiati nei confronti di quanto il Maestro Gesù dice ai discepoli, al termine del discorso della montagna: «Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» (Mt 7,21).


Viviamo in un’epoca in cui il fare è la cosa essenziale! Fare tanto, fare bene, fare a lungo: sono gli imperativi a cui difficilmente riusciamo a sottrarci. Purtroppo a questo intenso attivismo non corrisponde il più delle volte un’adeguata dose di gioia e di pace nel cuore. Più ci agitiamo e più siamo agitati. Più facciamo e più ci sentiamo affamati e assetati di qualcosa che continua a mancare.


La spiegazione è abbastanza semplice: facciamo tante cose, ma poche volte facciamo la volontà del Padre che è nei cieli. Il suo desiderio, il suo sogno per l’umanità rimane al di fuori delle nostre programmazioni, perché sconosciuto o troppo impegnativo.


Preferiamo ascoltare «la voce di Sara» (Gen 16,2), come fa ingenuamente Abramo. Non possiamo certo biasimare il nostro padre nella fede. Dopo aver lasciato tutto, a causa di una promessa affascinante e folle, Abramo si ritrova a ottantacinque anni senza alcuna discendenza. Dopo aver gettato dal cielo luminose parole, Dio sembra tacere, le sue promesse svanire come fatue illusioni. Sara, sua moglie, dà voce al comune sconforto: «Ecco, il Signore mi ha impedito di aver prole» (Gen 16,2). E propone al marito di aiutare un po’ il cielo ad adempiere le promesse di fecondità: «Unisciti alla mia schiava: forse da lei potrò avere figli» (Gen 16,2).


Non è cattiva Sara. È realista, astuta, intuitiva. Assomiglia a noi tutte le volte che cerchiamo di arrangiarci, sfruttando al meglio le residue opportunità che la storia ci offre. Pecca solo di impazienza, dimenticando che i tempi di Dio non sono come i nostri.


«Abram ascoltò la voce di Sarai» (Gen 16,2) e dalla sua unione con Agar, la schiava, nascerà Ismaele. Ma Ismaele non sarà il figlio della promessa; non passerà attraverso di lui la linea santa della discendenza. Dio resterà fedele alle sue parole e donerà a Sara il frutto del grembo, quando sarà ormai chiaro che il dono e la grazia appartengono solo a lui.


La voce di Sara la ascoltiamo anche noi tutti i giorni. È il buon senso che ci portiamo dentro, tanto religioso, quanto poco evangelico. È la profezia che ci siamo abituati ad ascoltare, perché alimenta l’edificio che cerchiamo di costruire con tanta buona volontà.


Questo edificio è la casa dove abitiamo. Il luogo delle nostre sicurezze: la nostra famiglia, il lavoro, la salute, il caffè alla mattina e il giaciglio alla sera. Questa casa un giorno deve crollare, cedendo al precipitare della «pioggia», all’impeto dei «fiumi», alla violenza dei «venti» (Mt 7,27).


Arriva sempre il momento della verifica estrema, quando Dio decide di rivelarci che la sua grazia nella nostra vita può fare molto di più di quanto osiamo pensare o sperare. In quel momento ci accorgiamo della vanità e dell’inutilità di tante nostre parole, soprattutto di quelle più sacre: «Signore, Signore» (Mt 7,21).


Allora torniamo umilmente a costruire il regno dei cieli con più verità.

Donando quello che abbiamo.

Dicendo grazie. Chiedendo scusa.

Ogni giorno.


Commenti

Anonimo ha detto…
Ciao Roberto,

la quotidiana lettura dei tuoi commenti sta diventando una piacevole abitudine.

Anche oggi le tue parole mi stimolano a riflettere sulla mia vita e mi accorgo che anche io inseguo sempre nuovi progetti ed anche se una volta realizzati sono felice mi lasciano comunque un vuoto o il bisogno di un nuovo progetto ad essi connesso.

Ripeto spesso che nemmeno nel paradiso terrestre si sta bene da soli poichè l'uomo è fatto di relazioni e di esse vive. La paura però di essere tradito mi fa lesinare l'amore verso gli altri nonostante noi lo riceviamo incondizionatamente da Dio.

Grazie per le tue riflessioni

Mimmo