Giovedì - IX Tempo Ordinario

Letture: Tb 6,10-11; 7,1.8-17; 8,4-9 / Sal 127 / Mc 12,28-34

PIÙ DEI SACRIFICI



Si più fare di più e meglio che obbedire ciecamente a valori ritenuti imprescindibili. Si può imparare ad amare come si è amati, facendo di questo comando «l’unico» (Mc 12,29) assoluto «all’infuori» (Mc 12,32) del quale tutti gli imperativi e le scelte si relativizzano.


Il libro di Tobia racconta come si può giungere a questa bella spiritualità, superando scrupoli e rigidità che condizionano la libertà dello Spirito e la docilità dell’obbedienza alla verità e alla storia. Tobia, il figlio di Tobi, con la sua disponibilità ad essere guidato dall’angelo Raffele diventa capace di guarire la mortifera purezza di Sara, ancora segnata da un eccessivo timore di Dio. Tobi appare come un uomo maturo ed autonomo, capace di ricevere «una calorosa accoglienza» (Tb 7,7) da parte di Raguele e di ascoltare la scomoda «verità» (Tb 7,10) della morte, che getta sempre un’ombra di sospetto sul volto del «Dio dei viventi» (Mc 12,27). Tobi «ascolta» (Mc 12,29) con cuore aperto la parola di speranza detta con «franchezza» (Tb 7,10) da Raguele: «Il Signore provvederà» (Tb 7,11).


Questi atteggiamenti esprimono i tratti essenziali di una persona capace di convertirsi da un Dio altissimo e imperscrutabile a un «Signore del cielo» amorevole che cambia «in gioia il dolore» (Tb 7,17). Un Dio davanti al quale si può persino rinunciare a «mangiare e a bere» (Tb 7,14) pur di assicurarsi il tesoro di una «speranza viva» (1Pt 1,3).


Purtroppo, il nostro cammino di fede procede spesso per altre vie. Se guardiamo con onestà la nostra preghiera, ci accorgiamo che raramente è pervasa da un senso di genuina confidenza. Proviamo allora a riempire le sacche di invisibile paura e diffidenza che rimangono dentro di noi partecipando al delirio spirituale contemporaneo, che brucia vita ed energie all’assurdo idolo del fare ad oltranza.


Quante volte in nome dei sacrifici che ‘dobbiamo’ fare, dimentichiamo o maltrattiamo «il prossimo»? Quante vittime sacrifichiamo agli idoli che sono diventati, lungo gli anni, più importanti «dell’unico Signore» (Mc 12,29)? Quante volte rimaniamo soli, tristi e feriti per aver scelto di bruciare ancora una volta tutte le nostre forze per costruire un’immagine buona di noi stessi, anziché dire all’altro che ci sta accanto: «Le tue ragioni sono più importanti delle mie»?


Non è difficile comprendere perché partecipiamo tutti a questa eroica e titanica spiritualità. Perché compiere un olocausto ci dà un’immagine e un potere di fronte agli altri, invece scegliere di amare l’Altro/altro ci introduce in un atteggiamento di servizio. E il nostro cuore, ferito dal peccato originale, preferisce il potere al servizio, il ricevere al dare, l’apparire all’essere!


Si rende opportuna allora la misura drastica, l’unica soluzione che il Vangelo ammette e propone: la conversione! Solo una scelta di radicale cambiamento può farci abbandonare i nostro giudizi e i nostri traguardi, in favore di una una spiritualità più divina e, perciò, più umana, che «vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici» (Mc 12,33). La conversione è un processo lungo che tuttavia si nutre di precisi momenti di digiuno, nei quali impariamo a distaccarci dai nostri disordinati appetiti. Così facendo purifichiamo i nostri sensi e il nostro cuore, diventando capaci a scegliere non per «passione» ma con «con rettitudine d’intenzione» (Tb 8,7).


Come fa Tobia, che posticipa il pranzo e l’amore, per non rinunciare a diventare voce di gratitudine.


Come il Maestro Gesù ci ha insegnato nel Vangelo: «Questa razza di demòni non si scaccia se non con la preghiera e il digiuno» (Mt 17,21)


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