Venerdì della VI settimana di Pasqua

Letture: At 18,9-18 / Sal 46 / Gv 16,20-23

PER LA GIOIA


Le attese della vita che ci chiedono di pazientare «ancora un poco» sviluppano un’enorme varietà di sentimenti dentro di noi. Tutta la nostra attesa è condizionata da quale prospettiva si delinea davanti a noi, mentre aspettiamo l’evolversi delle cose. Altro è gridare per una colica renale, altro è farlo in occasione di un parto per mettere al mondo una vita.


Nel Vangelo di oggi, il Signore Gesù fa ricorso proprio a questa naturalissima immagine: «La donna, quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell’afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo» (Gv 16,21). Sta parlando a discepoli spaventati e fragili, che vivono lo sgomento per la situazione difficile che si è venuta a creare attorno a loro. Gesù li invita a non considerare soltanto la «tristezza» (Gv 16,22) che, in alcuni momenti, è capace di dilatarsi fino a riempire tutto il nostro cuore, paralizzando le risorse della nostra razionalità e soffocando la speranza. E dice loro una cosa semplicissima e illuminante: tutta la sofferenza e il dolore che vi attraversa non è fine a se stesso, ma è «per la gioia» (Gv 16,21)! Molte cose in natura presentano questa medesima dinamica: ad esempio la nascita di un bambino, quando la massima gioia per una donna si compie tra urla di dolore e convulsioni del corpo.


Queste parole assomigliano all’incoraggiamento che Paolo riceve «in visione» dal Signore stesso: «Non avere paura, ma continua a parlare e non tacere, perché io sono con te» (At 18,9-10). Questo irrobustimento interiore dona a Paolo la forza per seminare con generosità e fedeltà il Vangelo: «Si fermò un anno e mezzo, insegnando fra loro la parola di Dio» (At 18,11).


Quando il fiume della nostra vita si gonfia improvvisamente, e accadono avvenimenti non calcolati e non desiderabili, rischiamo di far funzionare male quell’organo stupendo e delicato che è la nostra memoria. Infatti tendiamo a ri-cordare, cioè a conservare nel cuore, solo i sentimenti di paura e angoscia che si sono generati in noi negli ultimi momenti. Per questo sprofondiamo in fretta nel buio e nella solitudine: in poco tempo arriviamo a temere che la vita – almeno per noi e per i nostri cari – sia veramente al suo capolinea! Questo è lo spavento più grande che conosciamo, il timore che qualcuno/qualcosa possa toglierci ciò per cui abbiamo sorriso e reso grazie!


Qui si inserisce la voce di Dio, che con il suo grande amore è capace di ricordarsi sempre di tutto e di tutti, non assolutizzando mai un segmento della storia come invece facciamo noi, a causa del nostro egoismo. Per questo è capace di salvarci attraverso la risurrezione, perché non si dimentica mai della sua misericordia mentre «tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto» (Rm 8,22). Gesù dice ai suoi discepoli: «Ora siete nella tristezza; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia» (Gv 16,22).


Pregare, ascoltare la Parola di Dio, partecipare ai gemiti e ai canti della Chiesa significa passare, ogni giorno, dalle tenebre alla luce, dalla tristezza alla gioia, dalla paura di morire alla speranza di una vita senza fine, nella quale niente e nessuno «potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù nostro Signore» (Rm 8,39).


Commenti

Anonimo ha detto…
Bellissime le tue parole e davvero molto rincuoranti. Sicuramente facendo un feed back della mia vita è stato proprio così. A ogni grande dolore, nella salute, nella famiglia, con tanta tanta preghiera e affidamento sono riuscita ad avere sempre una gioia più grande. Affidarsi, questa penso sia la chiave di tutto, affidarsi con tutto l'amore possibile. Grazie!
Unknown ha detto…
Penso alla sofferenza che può nascere dall'essere cristiani in questo mondo, dal cercare di essere testimoni credibili di Gesù Cristo.
Penso a coloro che per amore di Gesù sono stati presi in giro, isolati, abbandonati dai propri amici e magari perfino dai propri famigliari.
Penso a me: che per paura di tale sofferenza, di non essere compresa, di vivere nel mondo senza essere del mondo, troppo spesso non seguo Gesù fino in fondo, non vivo liberamente la mia fede. Al contrario, imbocco la via "più ragionevole", la via che sono sicura mi darà meno problemi, che sconvolgerà meno la mia vita e non scandalizzerà chi mi sta intorno.
Così però mi privo della vera gioia, della gioia di cui parla Gesù, che viene dopo la sofferenza, dopo la paura e l'angoscia di essere rimasti soli.
Chiedo al Signore di darmi il coraggio di abbandonare ciò che m'impedisce la gioia di una vita vera, salvata e incredibilmente dilatata dal suo amore.
Anonimo ha detto…
Carissimo fra Roberto,
come sono confortanti le parole dette da Gesù:”tutta la sofferenza e il dolore che vi attraversa non è fine a se stesso ma è per la gioia”.
Durante la nostra vita, infatti, ci accadono eventi che ci sconvolgono e quasi sempre restiamo ancorati alla disperazione che ci hanno procurato.
Riflettendo su quanto dice il Vangelo riguardo alla donna che partorisce e dimentica subito il suo dolore perché grande è la gioia di aver dato alla luce un figlio, anche chi ha tanto sofferto per la perdita di una persona cara può tramutare il suo dolore in gioia quando la fede lo porta a credere che chi ci ha lasciato ora vive in Dio, nella sua luce e nella sua gloria.

Lucia